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The Last of Us

2023
CAST:
Pedro Pascal (Joel Miller)
Bella Ramsey (Ellie Williams)

Il nostro giudizio

The Last of Us è una serie tv del 2023, ideata da Craig Mazin e Neil Druckmann.

La nuova hit del canale via cavo HBO nasce sotto l’egida di una maledizione che ha colpito in maniera indiscriminata gli adattamenti dai videogiochi realizzati finora. Che si parli di film o di serie televisiva, il passaggio dal mondo videoludico a quello delle classiche immagini in movimento ha partorito opere il bilico tra la sufficienza e il mediocre, quando non addirittura verso l’esito disastroso. The last of us, videogioco del 2013 sviluppato dai Naughty Dog per la piattaforma Playstation, è uno dei titoli più noti, maggiormente celebrati dalla critica e amati dal pubblico degli ultimi anni ed era inevitabile una sua trasposizione. Dietro la serie HBO si trovano Neil Druckmann, uno dei creatori del videogioco, e Craig Mazin, autore della notevole miniserie Chernobyl, prodotta per lo stesso canale: dall’unione delle due menti è venuto fuori un adattamento molto fedele all’originale, ma capace di attrarre anche il pubblico non fan. Dalla messinscena allo sviluppo narrativo, molto dipende in linea diretta dal videogioco a monte e in rete è possibile trovare i confronti, sterili ma divertenti, tra le inquadrature del gioco e quelle della serie, per taglio e luci assolutamente sovrapponibili. La serie HBO in più espande, dilata, approfondisce quello stesso mondo evitando di cadere in alcune trappole. La prima trappola, in questi casi, è l’eccessiva adesione al materiale originale, che essendo ideato per un medium interattivo può funzionare solo in quel contesto, pur tenendo buoni i fan fanatici. La seconda trappola è il rovescio, cioè la troppa libertà, l’allontanamento dal cuore del gioco con il rischio di cadere nel già visto, nelle storie già percorse. E a un primo sguardo, The Last of Us si presenta come una crasi tra il mondo postapocalittico infestato da zombi di The Walking Dead e il road movie intimista, emotivo, tra due personaggi, due generazioni lontane tra loro per età e motivazioni, sulla falsariga del The Road di Cormac McCarthy. La strada che infine la serie percorre, peró, è del tutto personale.

In un prologo dal sapore romeriano uno scienziato durante un dibattito televisivo avverte della possibilità che un fungo possa adattarsi, a causa del riscaldamento globale, alla temperatura del corpo umano, creando un pericolo maggiore rispetto a quello di un virus. Alcuni decenni dopo la profezia si avvera e un fungo, il Cordyceps, divora il cervello delle proprie vittime e le trasforma in burattini aggressivi. La società è velocemente crollata e in questo scenario l’esperto Joel (interpretato da Pedro Pascal) viene pagato da un gruppo ribelle per trasportare la giovane Ellie (Bella Ramsey) in un ospedale al di là della zona di quarantena, dove sarà possibile creare un vaccino contro la minaccia fungina: Ellie infatti è immune. La strada che dovranno percorrere però è irta di pericoli, non sempre costituiti dalle creature che, anzi, si vedono molto poco. Più che all’azione e allo splatter di The Walking Dead, per ritornare ai riferimenti poco prima citati, la serie preferisce aderire al racconto intimo mccarthyano: il mondo di The Last of Us è uno scenario in cui l’apocalisse – ossia l’avvento della pandemia – non solo ha piegato ogni struttura sociale e politica, di cui adesso vediamo solo alcuni residui dittatoriali, ma ha soprattutto troncato relazioni parentali, amicizie, amori. Ogni personaggio di cui seguiamo le vicende è incompleto e la storia, abiurando spesso e volentieri a un racconto organico e spezzandosi in episodi sfilacciati, fatto di micro e macrostorie che si intrecciano con il cammino del duo in maniera più o meno incisiva, diventa di conseguenza un tentativo lirico di rappresentare la solitudine (a partire dal titolo), la fine dell’uomo come fulcro di una rete sociale e l’avvio di un’era di pura sopravvivenza, in cui ogni comunità presenta caratteri negativi.

L’andamento a singhiozzo della trama principale, tra flashback, salti temporali e deviazioni sul tema, con episodi interi basati sulle vicende di personaggi secondari che non hanno seguito nella stagione, porta alla luce un rosario di relazioni spezzate, di rapporti infranti, in cui la piaga non è riuscita a cancellare le emozioni umane ma ne ha sicuramente compromesso l’integrità sociale. In questo scenario nichilista la coppia protagonista, anch’essa formata da due personaggi monchi di qualcuno (chi la figlia, chi la famiglia o la migliore amica), percorre il viaggio con una scintilla di speranza. L’alchimia tra Pascal e Ramsey, pur resa difficile da qualche passaggio troppo brusco, è sinceramente commovente e rende al meglio il rapporto surrogato padre-figlia che è condizione essenziale per il dilemma finale, apice di una serie in cui anche se l’azione e l’orrore non mancano (l’episodio con la comunità cannibale ha una tensione sottile ma costante) mette in primo piano le persone e i sentimenti, facendo affiorare le contraddizioni degli stereotipi del genere.