Featured Image

The Holdovers

2023
Titolo Originale:
The Holdovers
REGIA:
Alexander Payne
CAST:
Paul Giamatti (Paul Hunham)
Dominic Sessa (Angust Tully)
Da'Vine Joy Randolph (Mary Lamb)

Il nostro giudizio

The Holdovers – Lezioni di vita è un film del 2023, diretto da Alexander Payne.

Siamo nel 1970. Paul Hunham (Paul Giamatti) fa il docente di lettere classiche alla Barton Academy. Sullo sfondo della guerra in Vietnam, i rampolli dei ricchi vengono educati nella scuola privata del New England, senza patire alcuna privazione. Il professor Hunham è l’unico che li tiene sulla corda: rigido latinista, amante della tradizione, raramente i suoi voti superano la C, ed è in grado di proporre la lettura di Demostene nell’ultima ora prima delle vacanze natalizie. È uno che non si piega Hunham, neanche di fronte al preside quando gli chiede di accogliere il figlio di un politico. Un insegnante all’antica, tutto d’un pezzo. E non esita a restare nella scuola per Natale, facendo il supervisore di quegli studenti che – per qualche motivo – non tornano a casa e trascorrono le vacanze nell’istituto deserto e innevato. Hunham sarà il loro controllore, con la pretesa perfino di fare lezione. Una serie di pre-adolescenti gli viene affidata ma poi, recuperati dalle famiglie, ne resta uno solo: il giovane Angus Tully (Dominic Sessa), parcheggiato dalla madre troppo impegnata nella luna di miele col secondo marito. Angus è un tipo problematico, un combinaguai. Con loro c’è anche Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), la cuoca nera della mensa, con figlio appena morto in Vietnam, che non ha niente da festeggiare. Il nuovo film di Alexander Payne, The Holdovers, è stato presentato in Italia fuori concorso al Torino Film Festival per poi arrivare nelle sale il 18 gennaio 2024. Il regista del Nebraska, dopo l’inizio felice del Duemila, con titoli come A proposito di Schmidt e Sideways, era entrato in un cono d’ombra incartandosi in progetti minori o deludenti, come Paradiso amaro e Downsizing, finendo per perdere per strada il timbro principale: pur non essendo tecnicamente indie, se non proprio agli albori, del migliore cinema indipendente americano era in grado di ricostruire forme e figure, facce e parole, lo stile narrativo, insomma di spargerne l’umore. Con The Holdovers torna finalmente in quel territorio.

L’intreccio sceneggiato da David Hemingson poggia su archetipi precisi, che però vengono riscritti e manipolati per giungere a un approdo diverso e peculiare. C’è il professore stronzo, odiato da tutti, che vive in una stanza spartana, non esce mai dalla scuola e all’insegnamento dedica la vita; emana cattivo odore simile al pesce marcio, in quanto affetto da trimetilaminuria, come ammette lui stesso in una sequenza sinestetica, che ce lo fa quasi sentire. C’è l’alunno ribelle che respinge il protocollo e non rispetta le regole imposte; la donna di colore segnata dal lutto, perché proprio i neri crepano in guerra, mica i figli dei ricchi. Sono loro gli holdovers, i rimasti, che va inteso in due sensi: coloro restano lì perché non hanno nessuno ma anche i rimasugli, gli ultimi di un tessuto sociale che – stavolta sì – non guarda al conto in banca per escludere, può discriminare chiunque. Ma forse gli holdovers sono anche i resistenti, quelli che tutto sommato provano ancora a intavolare un rapporto umano. Nella scuola vuota prende il via un passo a tre: come inevitabile, le solitudini iniziano ad avvicinarsi tra loro, le gabbie a incrinarsi. Si scoprirà che l’inflessibilità del prof è dovuta anche a un complesso vissuto, che ce lo presenta nella forma attuale. Ma ognuno, in generale, verrà portato a schiudersi e aprire il suo guscio. Come, dove e perché non si dice per evitare lo spoiler. Il racconto di Alexander Payne adotta alcuni riferimenti, come detto, alle prese con un archetipo primario: c’è L’attimo fuggente, naturalmente, nel rapporto tra il docente e l’allievo, ma c’è soprattutto l’ombra di John Hughes, fondatore del teen movie, in particolare di un film centrale come The Breakfast Club, che vedeva gli adolescenti “prigionieri” di una biblioteca. C’è una biblioteca anche qui…

Bisogna però fare attenzione. Vedere The Holdovers come riproposizione di un cinema passato sarebbe quantomai fuorviante, perché Payne va a sabotare gli stessi stereotipi che mette in scena. In che senso? Un esempio: nello sbocciare del rapporto tra Paul e Angus non c’è un’oncia di sentimentalismo o melassa, neanche quando ce l’aspetteremmo, secondo le norme di certo cinema americano (e del film di Natale). I due non si abbracciano né diventano mai “troppo” vicini. La sostanza del loro legame, piuttosto, si affida a simboli e metafore, a traiettorie narrative che non dicono ma lasciano intuire, con profonda ironia, come nella rima baciata tra i due che si “salvano” a vicenda. Del resto, contro il cliché, anche la possibile storia d’amore del professore non si avvera, alla faccia del miracolo di Natale.
Il segno grafico che marchia la vicenda è l’occhio strabico di Paul, indossato da un gigantesco Paul Giamatti, forse il migliore di sempre, che propone una riscrittura seriosa del compianto Marty Feldman, fino alla fine mantenendo il dubbio: qual è l’occhio buono e dove bisogna guardare? Il docente, segnato dalla menomazione visiva, impara gradualmente a vedere. Così come si rivela intelligente l’uso del personaggio di Mary, che in teoria potrebbe suscitare compassione ma invece serve proprio a smentire il luogo comune, a discutere l’ovvio, ed è proprio lei dall’alto della sua umiltà a spiegare che anche un ragazzo ricco può soffrire. Ancora, in ultimo, il professor Hunham smentisce l’ipotesi di un nuovo John Keating perché non siamo ne L’attimo fuggente: “Il ragazzo non è un genio, è intelligente”. A ciò si aggiunge la ricostruzione scientifica dei Settanta, che sembra di sentire e toccare, nel legno levigato, negli oggetti e vestiti, nella prigione dorata che ospita i giovani ricchi. Insomma al contrario dei college movies di oggi, mediamente idioti e serializzati, o peggio al passo coi tempi, tra quote obbligate e peloso buonismo, The Holdovers è proprio un’altra storia. Il sottotitolo italiano, Lezioni di vita, va in antitesi all’essenza del film: qui non c’è alcuna lezione, semmai è la vita che rimane. Tanto basta.