Featured Image

The Haunting of Bly Manor

2020
REGIA:
Ciarán Foy Liam Gavin,Ben Howling, Yolanda Ramke, Axelle Carolyn, Mike Flanagan, E.L. Katz
CAST:
Victoria Pedretti (Dani Clayton)
Oliver Jackson-Cohen (Peter Quint)
Amelia Eve (Jamie)

Il nostro giudizio

The Haunting of Bly Manor è una serie tv del 2020, ideata da Mike Flanagan.

Se Emily Bronte e Rosamund Pilcher fossero state compagne di banco nello stesso secolo e avessero ricevuto la commissione di scrivere a quattro mani una sceneggiatura per il piccolo schermo avrebbero dato vita a The Haunting of Bly Manor. In realtà si tratta del secondo capitolo appartenente ad un’antologia horror ispirata ai romanzi del genere dal titolo The Haunting creata da Mike Flanagan; in particolare, il riferimento letterario di questa seconda stagione è Giro di vite di Henry James. La trama, ambientata in Inghilterra, segue la vita di Dani Clayton (Victoria Pedretti) che accetta il lavoro offerto da lord Henry Wingrave (Henry Thomas), che ha bisogno di un’istruttrice, nella remota magione di Bly, per i suoi due nipoti, Miles (Benjamin Evan Ainsworth) e Flora (Amelie Smith) rimasti orfani di entrambi i genitori. Dani, anche lei alle prese con una perdita traumatica di un passato non troppo lontano, può contare sul personale di Bly: la governante Hanna Grose (T’Nia Miller), il cuoco Owen (Rahul Kohli) e la giardiniera Jamie (Amelia Eve). Presto però l’istruttrice si renderà conto che in casa sono molti di più, che il ricordo, oltre che la presenza di Rebecca Jessel (Tahirah Sharif), ex istruttrice, è più vivido e tangibile di quanto non appaia, così come del suo grande amore, Peter Quint (Oliver Jackson-Cohen), l’assistente di Wingrave. Ad un primo sguardo sembrerebbe la semplice storia di una giovane donna che fa la scelta sbagliata e si ritrova a combattere per la vita contro i morti, a volte spalleggiata, altre apparentemente ostacolata da bambini allucinati e visionari e da una servitù che sembra celare più segreti di quanto non dia a vedere.

Di fatto però già dalla quinta, di un totale di 9 puntate, a complicare il tutto ci pensa sua maestà il Tempo, con cambi scena continui, sbalzi temporali nelle menti e attraverso i ricordi dei protagonisti, dai quali lo spettatore si lascia confondere poiché in lui, tuttavia, matura contestualmente la presa di coscienza che, questa volta, la dimensione orrifica avanza di un posto a sedere per far spazio al vero orrore: quello dei traumi che ognuno dei protagonisti ha vissuto, alle loro personalissime e invincibili paure, ai fantasmi che albergano nei loro animi e che generano nuovi spettri. Ciò che concorre a stemperare la tensione, forse volutamente o forse accidentalmente, è il tepore della luce pomeridiana più caratteristica dei romanzi della Pilcher piuttosto che di una storia di fantasmi ambientata nella desolata campagna d’Inghilterra; allo stesso tempo, la trama, che ad un certo punto si focalizza sulle dinamiche di amori passati e presenti, più che a Bly ci fa sentire a Wuthering Heights e gli inquietanti protagonisti diventano prevedibili personaggi di una soap opera. Ciononostante l’encomio principale è rivolto alle interpretazioni degli addetti ai lavori e nondimeno all’indagine psicologica sui personaggi: ad ognuno è concesso il suo spazio, la sua breve occasione per raccontare la sua storia per farsi conoscere, e, last but not list, Flanagan, come già avevo dato prova nel primo capitolo della sua antologia, si conferma – anche in questa occasione – abilissimo a giocare con il tempo: i momenti, i ricordi, le immagini, i dialoghi, gli spazi si sovrappongono, confondendo i protagonisti e disorientando lo spettatore, una sensazione che quest’ultimo porta con se fino alla fine della storia e oltre.

Cosa è accaduto davvero e soprattutto cosa è avvenuto prima e cosa dopo non gli è dato saperlo, ciò che però gli viene garantito è un finale romantico, a tratti persino smielato: “non è una storia di fantasmi, è una storia d’amore” ed è la conclusione più schiettamente leale  che Flanagan fa pronunciare ad uno dei suoi personaggi; tuttavia, pur apprezzandone l’onestà, è opportuno riconoscere che tutto ciò rende la stagione più catalogabile nella produzione di Piccoli brividi che tra le preferenze degli amanti del genere horror over 17. E’ una tenera, coinvolgente e mielata storia d’amore che cattura l’attenzione degli animi più romantici e sensibili, ma non soddisfa chi aveva apprezzato e si era lasciato sapientemente torturare e tormentare da Hill House. In The Haunting of Bly Manor, forse, ritroviamo l’anello debole della narrazione: di fatto, tramutando la vicenda in storia “sentimentale” si è perduto il punto focale e terrorizzante dell’opera originale di James, la cui penna strutturava la storia sulle memorie dell’istruttrice dando vita ad inquietudini che si acutizzano proporzionalmente alla presa di coscienza della giovane donna di quanto stesse accadendo attorno a lei, davanti ai suoi occhi, provocandole un tormento costante e isterico. Per cui se Flanagan ha deciso di prendere una fetta di Giro di vite e trasformarla in una storia d’amore, non v’è dubbio che ci sia riuscito, se, invece, il suo intento era quello di superarsi rispetto al grande risultato ottenuto con Hill House continuando a turbare il suo pubblico, possiamo concludere che ha magnificamente fallito.