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The Handmaid’s Tale – Stagione 3

2019
Titolo Originale:
The Handmaid’s Tale
REGIA:
Mike Barker, Amma Asante, Colin Watkinson, Dearbhla Walsh, Daina Reid, Deniz Gamze Ergüven
CAST:
Elisabeth Moss (June Osborne)
Joseph Fiennes (Comandante Fred Waterford)
Yvonne Strahovski (Serena Waterford)

Il nostro giudizio

The Handmaid’s Tale – Stagione 3 è una serie tv del 2019, ideata da Bruce Miller.

Non si può negare, in questa epoca d’oro della serialità televisiva, che la portata culturale di certi prodotti abbia ormai delle dimensioni considerevoli. A volte tutta questa rilevanza può anche assumere le fattezze di un macigno caricato sulla schiena. È il caso di The Handmaid’s Tale, la cui trasposizione dal romanzo di Margaret Atwood ha dato modo ad un pubblico mainstream di riflettere su quello che in fondo è lo scopo preminente della fantascienza distopica, ossia dire che il domani è già ora e che quindi le ancelle sono le nostre madri, le nostre compagne, le nostre figlie e così via. Lo stesso outfit gileadiano è ormai utilizzato come simbolo arcinoto di lotte e proteste di matrice femminista. Omaggi e riferimenti che si riversano inevitabilmente sotto forma di responsabilità sociale per una serie tuttora in corso che tanto pare abbia ancora da raccontare. Dopo una seconda stagione prolungatamente interlocutoria, a volte tremendamente stancante, lo showrunner Bruce Miller decide dunque di reinserire marce più alte e di dare uno sviluppo concreto a storia e personaggi.

La terza stagione, va da subito premesso, riesce perché è quella maggiormente incentrata sui caratteri femminili, sulle loro criticità e contraddizioni. Mentre il gioco si fa sempre più duro, andando anche a rivelare una Gilead ancor più estrema e fanatica di quella sinora conosciuta, le donne emergono definitivamente per compiere quel definitivo ribaltamento di condizione. Molte hanno quasi un’intera puntata a loro dedicata, come ad esempio la fuggitiva Emily (Alexis Bledel), un personaggio che si presupporrebbe narrativamente chiuso ma che si apre invece ad un dramma più complesso, quello di una libertà contraddistinta dal trauma e dall’impossibilità di ristabilire i rapporti. Anche ad uno dei personaggi più sfaccettati della serie, Aunt Lydia, interpretata da una sempre grandiosa Ann Dowd, verrà dedicata gran parte di un episodio, dove la vedremo finalmente nel periodo pre-Gilead. Non può infine non occupare molto spazio Serena Waterford (Yvonne Strahoski), ancora aperta a sviluppi che la mantengano in equilibrio tra l’essere la spietata complice e la sofferente vittima di un sistema che lei stessa ha contribuito a creare. Tutte donne sottomesse, ferite e messe ai margini che hanno trovato nella ferocia e nella spietatezza l’unico modo di avere un ruolo nella grande vicenda, mentre i vari pater familias perdono progressivamente ed inconsapevolmente il loro potere.

A questo destino non può sfuggire neanche il personaggio centrale: June, ex Offred e nuova Oflawrence, non perderà molto tempo a mostrare gli effetti della sua sofferta schiavitù. Salvata la figlia avuta con Nick dalla famiglia Waterford, si concentrerà su una missione che sarà il convitato di pietra dell’intera stagione della serie: portare più bambini possibile fuori dai confini di Gilead. Una direzione che progressivamente si delinea in modo chiaro: June sta diventando un leader potente, e il potere non porta mai solo cose buone, anche quando è sostenuto da intenti nobilissimi. Dinanzi alla crudeltà dei suoi oppressori e alla vitale importanza dei suoi intenti, June decide di armarsi della stessa violenza psicologica e fisica, della stessa spietata risolutezza. In un finale pieno di tensione, l’eroina raggiungerà la sua catarsi tragica, tra martirio e santificazione, liberatoria e pericolosa allo stesso tempo, in attesa di sapere, nella prossima stagione di The Handmaid’s Tale, quale sarà la sua scelta. Bertolt Brecht, d’altronde, diceva: “Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi”. Forse anche di eroine?