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The Greatest Showman

2017
Titolo Originale:
The Greatest Showman
REGIA:
Michael Gracey
CAST:
Hugh Jackman (P.T. Barnum)
Zac Efron (Phillip Carlyle)
Michelle Williams (Charity Barnum)

Il nostro giudizio

The Greatest Showman è un film del 2017, diretto da Michael Gracey

Il Phineas Taylor Barnum di Hugh Jackman in The Greatest Showman è un uomo affascinato dalla magia, dall’illusione e dagli aspetti più paradossali e macabri del genere umano. L’eccezione è la sua regola per vivere oltre la mediocrità quotidiana, così, verso metà Ottocento, dopo che viene licenziato, si ritrova nella condizione di reinventarsi, magari crearsi, un lavoro proprio partendo da questo feticismo per l’assurdo. Con i pochi risparmi compra un teatro e vaga per tutta l’America alla ricerca di stranezze: donne prosperose di seno quanto di barba, uomini alti più di due metri e altrettanti sotto il metro, circensi zoticoni, uomini cornuti (non per matrimoni naufragati, ma uomini con vere e proprie corna), altri con tutto il corpo tatuato. Poi: chi è albino, chi ha la testa deformata e chi capelli e unghie lunghissime. Insomma, un circo delle stranezze che inevitabilmente attrae centinaia e centinaia di spettatori. Tra l’arte, gli spettacoli e gli ingaggi, quindi, Barnum inventa quello che oggi conosciamo come show business, non senza difficoltà, in una società che difficilmente accetta la diversità come parte integrante del contemporaneo. È un musical particolarmente accattivante, questo di Michael Gracey. Lontano dagli stilemi del jazz/blues raffinato proposti da Damien Chazelle con La La Land, The Greatest Showman sembra un parto vittoriano di un qualsiasi High School Musical adolescenziale, e non a caso nel cast c’è anche Zac Efron, che quando deve alternare ipotetiche doti recitative assieme al canto e al ballo, risulta assai più convincente.

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Più che un dramma biografico, tutto è all’insegna di una visione radiosa della vita di Barnum e della sua professione circense, nonostante le accuse di mistificazione, necessarie per stuzzicare il feticismo visivo degli americani incuriositi di vedere e ridere (pagando) di stranezze, dallo scherno iniziale fino alla celebrazione della loro unicità. I tempi di The Greatest Showman sono esattamente quelli base di ogni musical: celebrazione dell’atto visivo e canoro a suon di ritmo, con un orecchio più attento al pop e quindi al canto di gruppo, alternando ballate e momenti travolgenti e ispiratissimi, svendendo, inevitabilmente, la figura dello stesso Barnum, e riconducendolo a umile sognatore in un mondo troppo razionalizzato e quindi triste, grigio, anestetizzato dal bigottismo. Il circo di Barnum si presenta come vero e proprio festival di luci, colori e suoni, facendo trionfare (un po’ troppo) l’amore e i sentimenti spiccioli e lasciandosi dietro ogni critica e il minimo di contestualizzazione storica e psicologica dei personaggi.

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Però, nella mera rappresentazione immaginifica del prodotto, tutto risulta molto convincente e capace di trasportare anche il più pigro detrattore del genere. A concludere il quadro, una velata critica alla critica, di qualunque genere, maggiormente cinematografica e teatrale. Il nostro è un mondo abitato da sedicenti critici che difficilmente si divertono in un luogo creato (forse) proprio per il divertimento. «Un critico teatrale che non si diverte a teatro. Chi è l’imbroglione?», esorta Barnum al triste e grigio critico che ha appena stroncato il suo ultimo spettacolo teatrale, accusandolo di vendere il nulla al netto della qualità raffinata di altri tipi di spettacoli teatrali. La sala si ferma un momento a ragionare su questa frase, poi passa subito via, c’è altro da cantare e ballare.