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The Golem

2019
Titolo Originale:
The Golem
REGIA:
Doron Paz, Yoav Paz
CAST:
Hani Furstenberg (Hanna)
Ishai Golan (Benjamin)
Brynie Furstenberg (Perla)

Il nostro giudizio

The Golem è un film del 2019, diretto da Doron e Yoav Paz.

Ogni volta che si racconta una storia, è davvero molto difficile separare la verità dal mito. E i miti, poiché sono tali, finiscono, prima o poi, per tornare di moda. È accaduto con gli zombi. È accaduto coi vampiri. È accaduto persino coi pirati. E ora, finalmente, è la volta del Golem. La più affascinante e oscura delle creature rigurgitate dal ricco folklore ebraico, plasmata dalla terra e animata col soffio della parola di Dio, per difendere chiunque la evochi da attacchi e soprusi. Insomma, un RoboCop d’argilla pronto a far festa con cattivi e cattivacci, almeno fin quando non sbrocca seriamente e inizia a mazzolare per bene i suoi stessi padroni. Ed è proprio a questo mitico personaggio esoterico – già reso cinematograficamente iconico da Paul Wegener e Henrik Galeen nel lontanissimo 1915 – che lo sceneggiatore Ariel Cohen guarda con estremo interesse nella stesura di The Golem, affidandosi all’onesta mano registica dei fratelli Doron e Yoav Paz. Due tipetti che, dopo l’esordio drammatico di Phobidilia (2009) e il suggestivo mockumentary apocalittico-esoterico JeruZalem (2015), si trovano ora a dover fare i conti con uno dei capisaldi di genere più insidiosi della propria israelitica cultura, avendo a disposizione parecchi dollarozzi in più e il coccolante abbraccio distributivo di Netflix.

Puntando decisamente più sul versante stilistico a discapito di quello narrativo, The Golem ci presenta una piccola e pacifica comunità ebraica insediatasi nella sperduta campagna lituana di metà XVII secolo, ingiustamente accusata di essere responsabile di una devastante epidemia di peste che sta decimando senza pietà la popolazione autoctona e i barbari invasori. Ed è appunto per difendere sé stessa e i propri concittadini dalle minacce degli incacchiati vicini di landa che la giovane Hanna (Hani Fustenberg) decide, in preda alla disperazione, di chiamare in vita la mitologica e oscura creatura del titolo tramite il potere della Qabbalah, scegliendo, quasi inconsciamente, di plasmarla a immagine e somiglianza del figlioletto deceduto. Inutile dire che il pargoletto terriforme, richiamato all’attenti, tornerà a difesa della bella famigliola, non prima però di aver dimostrato tendenze decisamente poco consone a un allegro e spensierato bambinetto. A volerla mettere giù semplice semplice, The Golem non è obiettivamente ‘sto gran che, partendo da un pretesto che ricorda pericolosamente Pet Semetery e virando ben presto verso il puzzo delle fantastilioni di pellicole in cui il ritorno al regno dei vivi appare decisamente come una sonora maledizione, dall’immancabile tradizione zombesca romeriana a prodottucoli più infimi e recenti come The Lazarus Effect e consimili. L’immaginario di contorno, poi, con i suoi gelidi colori desaturati e le sue brumose atmosfere rurali infarcite fino al midollo di arcane tradizioni ancestrali  urlano The Witch a tutto fiato. Sarà un caso? Forse si, forse no. Ma lasciamo correre…

Non c’è dubbio, tuttavia, che il tema del colosso d’argilla fuori controllo abbia già avuto modo più volte di solleticare i cinematografici appetiti, dal summenzionato capostipite espressionista del 1915 a svarionate distopico-fantascientifiche anni ’80 come il Golem di Szulkin, apprendo oggi più che mai materia succosa da riportare alla luce. Il problema sta tutto nella volontà dei Paz Brothers di voler piegare il Mito alle recenti esigenze di un mercato di genere in cui, bene o male, i paletti da piantare lungo il percorso sono sempre gli stessi, indipendentemente che si parli di succhiasangue, mangiacarne a tradimento o mostracchioni terriferi dai poteri sovrumani. Alla fine, nonostante una confezione di tutto rispetto ben laccata e impomatata, si finisce, volenti o nolenti, per ricadere nelle letali spire di After Effects, con occhi neri e capillari esplosivi come se piovesse, il tutto condito dai consueti grugniti e frattaglie d’ordinanza. Di contro si assapora il gusto per la tradizione, le usanze e le leggende ebraiche che i due autori tentano di far amorevolmente trasparire da ogni inquadratura, così come di tutto rispetto appare la scelta di mostrare un Golem ben lontano dall’ormai familiare iconografia frankensteiniana, optando invece per le (apparentemente) innocenti sembianze di pargoletto desideroso d’affetto ma, in verità, inquietante tanto quanto il Damien di Omen. Una bella infornata di idee, certo, innestate tuttavia in un contesto parecchio insipido e senza troppa verve. Ma ormai, come si suol dire, in tempi di magra tutto fa brodo!