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The Elevator

Titolo Originale:
The Elevator: Three Minutes Can Change Your Life
REGIA:
Massimo Coglitore
CAST:
Caroline Goodall (Katherine)
Burt Young (George)
James Parks (Jack)

Il nostro giudizio

The Elevator è un film del 2019, diretto da Massimo Coglitore.

Con The Elevator , thriller psicologico, debutta sul grande schermoMassimo Coglitore, dopo il pluripremiato corto Deadline e il film tv Rai Noi Due. Il film, scritto per lo schermo da Riccardo Irrera e Mauro Graiani, è totalmente prodotto in maniera indipendente da Riccardo Neri con la sua Lupin Film ed è stato girato in lingua inglese tra gli studi di Cinecittà – avvenimento sempre più infrequente – e New York. L’incipit del film è: “Ti farò delle domande e se mi dai la risposta corretta, continueremo a giocare, se mi darai la risposta sbagliata rimuoverò una parte del tuo corpo!!!”. Questo è l’agghiacciante gioco a cui Jack (James Parks) sarà costretto a partecipare rinchiuso dentro un ascensore di New York in una notte in cui la città si svuota per una festività locale. L’ironia della sorte vuole che l’uomo sia un noto presentatore televisivo del quiz show “Tre minuti”, ora diventato lo sventurato concorrente, in una posizione decisamente più spiacevole e rischiosa, visto che si trova legato senza via d’uscita dentro un ascensore. Il suo aguzzino è una donna oscura, pragmatica, di nome Katherine (Caroline Goodall), convinta che Jack sia il responsabile di un terribile crimine. Gli interpreti ci regalano una performance eccezionale dando vita ad un film intenso e commovente, sempre misurato e mai sopra le righe. Ottima prestazione dell’attore James Parks (The Hateful Eight, Grindhouse, Kill Bill V. 1-2, C.S.I.) il famoso presentatore americano che con le sue sfumature da vita ad un personaggio ambiguo, fragile ma allo stesso tempo cinico.

Caroline Goodall (Schindler’s List, Cliffhanger, L’Albatros e Dorian Gray) è la donna che lo immobilizza dentro l’ascensore e che inizia il suo singolare cinico percorso di domande. La Goodall è perfetta con quell’aria luciferina, forse alla sua più matura e notevole interpretazione ad oggi. Nel cast è presente anche Burt Young (il Paulie di Rocky, con Stallone, ruolo per il quale ottenne una nomination agli Oscar nel ‘76). The Elevator non è un film violento, la storia fiorisce con un inaspettato crescendo verso i tre quarti del film. La fotografia, cupa e opprimente, partecipa a non alleggerire mai l’angoscia, che è quasi palpabile. L’ascensore diventa il sito di una sfida mortale fra i due “contendenti”, come dice lo stesso regista. Due persone indifese, con segreti mai confessati, che si trovano sole a fare i conti con i propri fantasmi. Ma questo è solo lo spunto che permette al regista di giocare in modo magistrale con la regia, in un veloce e strabiliante approccio visivo e sensoriale. E’ la tensione, tenuta costantemente alta, a rendere affascinante il film riuscendo a immedesimare il pubblico totalmente con i protagonisti e a viverne l’angoscia crescente che stanno vivendo in real time. E’ una guerra di trincea che metterà a dura prova, per opposti motivi, la resistenza di entrambi i rivali.

Già nei corti si era percepita la passione del regista ad inseguire il cinema di genere; qui allestisce, come spazio privilegiato alla sua ricerca, una scacchiera in cui l’interazione dei personaggi è il frutto di una dialettica che privilegia la dimensione psicologica e mentale. Un thriller girato con perizia che tiene incollati alla sedia gli spettatori, giostrando un perfetto congegno ad orologeria. The Elevator, visivamente impeccabile, traduce queste caratteristiche in un meccanismo di grande spettacolarità, in cui tensione ed adrenalina sono veicolate attraverso movimenti di macchina precisi, che oltrepassano in termini di riprese i limiti imposti dagli spazi ristretti dell’ambientazione con carrellate che uniscono con singolari e seducenti soluzione di continuità i personaggi, l’ascensore e l’architettura dell’elegante condominio newyorkese. Un film dove lo spettatore spesso è disorientato e arso dal dubbio su quale sia la verità, con un finale gestito in maniera perfetta scandito da una soave musica lirica. Il pathos cresce con dei primi piani e con piani sequenza davvero considerevoli e inusuali per un film girato in un’unica location. In sostanza un piccolo film indipendente ma di forte impatto emotivo con una regia sempre attenta ed intelligente che dimostra come anche in Italia si possano fare film a respiro internazionale. Adesso siamo curiosi di vedere il prossimo film di Coglitore, sicuramente una promessa nel nostro panorama italiano.