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The Dead Center

2019
REGIA:
Billy Senese
CAST:
Shane Carruth (Daniel Forrester)
Poorna Jagannathan (Sarah Grey)
Jeremy Childs (Michael Clark)

Il nostro giudizio

The Dead Center è un film del 2019, diretto da Billy Senese.

Se fare l’horror con nulla non è mai facile, ancor più complesso e ambizioso è tentare di evocare partendo da zero quella cosiddetta paura “cosmica” così centrale in molte ossessioni cinematografiche e non di questi decenni; scoprirsi impotenti di fronte ad una minaccia ignota ed ineluttabile, spesso non umana, quasi apocalittica. In The Dead Center, il regista Bill Senese fa quanto può muovendo le pedine che ha in mano, e ne esce con qualcosa di più interessante di quanto non sembrerebbe a un primo sguardo; un lavoro di discreta tensione, capace di andare abilmente a toccare possibili corde personali attraverso l’universalità della propria ambientazione ospedaliera (una volta tanto centrale, e non limitata a far colore). Decisivo in questo caso è l’ormai ricorrente decisione di raccontare un “mostro” che, di fatti, non esiste; la sublimazione dell’elemento orrorifico in una sorta di tensione, entità a malapena percepibile, manifestata esclusivamente attraverso il proprio riflesso sulle vite dei personaggi – tema ricorrente dell’indie horror moderno da David Robert Mitchell in poi, declinato in modo appena più truce in The Dead CenterNell’ospedale psichiatrico gestito dal primario Daniel Forrester (Shane Carruth, perfetta faccia rettilea da protagonista post-cornenberghiano) fa capolino un nuovo paziente. Il suo nome sembra essere Michael Clark (Jeremy Childs, enorme e fragile insieme), un gigante semi catatonico e senza memoria.

Costantemente drogato e narcotizzato secondo le discutibili politiche di Forrester, il misterioso degente ha ricordi a dir poco bizzarri; inizierà presto a raccontare della propria stessa morte, e di essere “tornato indietro” posseduto da un essere mostruoso e demoniaco. Nessuno gli crederà, ovviamente; ma i corridoi bui dell’ospedale inizieranno a fare i conti con manifestazioni, aggressioni e fenomeni vari, dando il via alle prime indagini a ritroso, e mettendo alla prova il cinico scetticismo dello psichiatra. Per un film sicuramente povero, The Dead Center mostra una discreta padronanza delle meccaniche operanti dietro il senso di weird – centrale in un quel tipo di narrativa orrorifica di natura psicologica più che visiva. Povero di jump-scares e di apparizioni, quello di Senese è un film che suggerisce l’infiltrarsi del mostruoso su un piano esclusivamente mentale; nel già di per sé inquietante quotidiano narcotico dell’ospedale, l’irruzione dell’Altro si visualizza attraverso graffi, glitch, accelerazione del montaggio, oltre a un costante lavoro di mixaggio e sound design. L’inumano non si vede ma si avverte, nel momento in cui la staticità delle raggelate inquadrature subisce l’incursione elettrica della regia e della post produzione. Questi flash hanno il proprio punto focale sul corpo dei personaggi, in immagini tangenti il body horror; varco dell’orrore sono orifizi, bocche, denti (come in Lynch), specchi ricorrenti del centro e della spirale (come in Junji Ito), per una facile lettura metaforica inerente la malattia e alla sua percezione collettiva.

Sta probabilmente qui la chiave più adeguata per The Dead Center, al netto della pur intrigante storiella di demoni, esorcismi e varchi dimensionali. Il film di Senese è un discorso sulla presenza aliena all’interno del proprio corpo, e della conseguente degenerazione in un progressivo distacco schizofrenico; quanto percepito come intoccabile (il controllo su di sé) viene violato, in un paragone automatico tra la possessione demoniaca dei film di esorcismo (e delle religioni più legate allo spiritismo), e la costrizione imposta sul corpo malato, dalle cure farmacologiche quanto dalla medicina in sé. Già distrutto dalla sensazione di trovarsi “occupato” da qualcos’altro, Clark subisce una seconda claustrofobica violazione: costantemente drogato, sedato, in uno stato di perenne controllo imposto, infine deprivato di ogni agency dalla propria possessione. Non a caso la matrice dell’inquietudine in The Dead Center non rimanda (solo) a traumi e presenze, quanto all’ospedale psichiatrico stesso – da sempre coacervo di visioni e di repressione, luogo di rimozione per antonomasia, dalla malattia quanto del malato stesso. La paura del contagio e dell’internamento viene dunque sapientemente elaborata, scoprendo una traccia di terrore universale in ottanta scarni minuti di scene in interni.