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The Covenant

2023
REGIA:
Guy Ritchie
CAST:
Jake Gyllenhaal (sergente John Kinley)
Dar Salim (Ahmed)

Il nostro giudizio

The Covenant è un film del 2023, diretto da Guy Ritchie.

Beato il paese che non ha bisogno di eroi. E beato quello che, nonostante tutto, ha ancora bisogno di uno come Guy Ritchie. Fa strano pensare, infatti, che debba essere un suddito di Sua Maestà a dover insegnare a quel gran casinario yenkee e guerrafondaio di Michael Bay come le battaglie, ancor prima che con armi e bandiere, si combattono a suon di lacrime e uomini. E se vero che il buon Ritchie alle sue battaglie ci ha sempre creduto fino in fondo, stavolta pare averci messo non solo la proverbiale sorniona facciaccia, ma pure il suo stesso stilosissimo nome. The Covenant, infatti, non è solo e soltanto un film. No signori: è il suo film, la sua battaglia. Guy Ritchie’s The Covenant, insomma. Un roboante e autoreferenziale titolone come solo i più grandi hanno osato concedersi. Che poi Guy Ritchie sia o meno un grande regista, questo sarà solo il tempo a dircelo. Ma sul fatto che The Covenant sia un gran fottuttissimo film, beh, su questo non ci piove, potete starne certi. Mandando momentaneamente in congedo quella glitterata ironia neo-pulp ormai ben collaudata da quasi trent’anni di onorata carriera – e portata a piena maturazione dai recenti exploit di The Gentlemen e Operation Fortune –, il cineasta di Hartfield sceglie stavolta di vestire la seria e rigorosa uniforme dell’action drama già abilmente tirata a lucido con il rugginoso Wrath of a Man, arruolando per l’occasione nientemeno che il veterano Jake Gyllenhaal e ricacciandolo, a quasi vent’anni di distanza dall’allucinato Jarhead di Mendes, fra le aride e insidiose sabbie del malfamato Medio Oriente.

Ed è appunto sullo sfondo di un turbolento e infuocato Afghanistan d’inizio 2018 che prende forma la pazzesca epopea del sergente John Kinley e dell’interprete locale Ahmed (Dar Salim), chiamati, assieme alla loro squadra, a stanare i segretissimi centri di produzione di armamenti destinati alle temibili milizie talebane. Caduti entrambi in un’imboscata dalla quale il sottoufficiale uscirà più morto che vivo, i nostri Lone Survivors si troveranno abbandonati a sé stessi, con il povero tenace Ahmed costretto a trasportare la morente carcassa dell’amico e commilitone per diversi chilometri in pieno territorio nemico, senza sapere tuttavia che il vero Good Kill, quello destinato a riportare entrambi nel caldo abbraccio dello Zio Sam, necessita ancora di parecchie insidie prima di essere esploso. Due solide e tesissime ore, ciascuna delle quali dedicata al racconto delle due maledette facce di quella stessa insanguinata medaglia che è la guerra con la G maiuscola. Una guerra esterna, combattuta in un paese straniero e lontano in nome di quella sete di democrazia che il senno di poi e parecchia vergogna ci hanno insegnato essere solo un paraculissimo specchietto per le allodole.

Ma anche e soprattutto una guerra interna, imbastita a casa propria dal nostro redivivo Man Down contro il famelico spettro dello stress post-traumatico che alberga nel suo malevolo e disperato Hurt Locker, assieme all’altrettanto strisciante senso di colpa per non aver onorato sino in fondo quel sacro patto che un titolo come The Covenant fin dal principio vuol mettere ben in chiaro: portare in salvo, nella terra del capitalismo e delle mille opportunità, la famiglia di colui che per primo la vita altrui ha deciso di salvarla. Un patto, un accordo, uno scambio, un do ut des o un qualunque altro etimo ci venga suggerito dall’evocativa didascalia finale. Poco importano tuttavia le parole, poiché, come si sul dire, ciò che conta alla fine sono solo e soltanto i fatti. Ed è appunto con la fredda e lucida precisione di un American Sniper che Sr. Richie sceglie di pattugliare la brulicante Green Zone che fa da perimetro al suo film: sparando quando serve (ma mai a salve), deflagrando all’occorrenza (senza tuttavia evocare una nuova Pearl Harbor) e prendendosi infine tutto il tempo per parlarci degli uomini dietro alle scomode e dolorose uniformi di questo stramaledetto Kill Team. Niente nomi in codice, bandiere a stelle e strisce né testosteronici Oorah! Nessun Redacted o Zero Dark Thirty. No signori, niente di tutto ciò. Solo e soltanto un gran film che, così come un buon patto, se ben onorato non mancherà di far felici grandi, piccini e diversamente giovani.