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The Confession Killer

2019
REGIA:
Robert Kenner, Taki Oldham

Il nostro giudizio

The Confession Killer è una serie tv del 2019, diretta da Robert Kenner e Taki Oldham.

La docuserie Netflix The Confession Killer ricostruisce in cinque puntate la vicenda di Lucas, protagonista di uno dei più incredibili casi giudiziari statunitensi. Tutto ha inizio in piccolo centro agricolo del Texas, Montague County, dove i locali Rangers sono una vera potenza. Nel 1983 viene uccisa la ottantaduenne Kate Rich. Si sospetta di Henry Lee Lucas, un vagabondo con due denti in bocca e che si lava poco, che era stato accolto in casa dalla vecchietta insieme con il suo amico-amante Ottis Toole, una sorta di decerebrato dal comportamento rozzo e animalesco. Lucas viene arrestato dai Texas Rangers per possesso d’arma da fuoco (nel 1960 era stato condannato in Michigan per l’assassinio preterintenzionale della madre, una prostituta alcolizzata e violenta, e per quel delitto condannato prima al carcere e poi all’ospedale psichiatrico). Pochi giorni dopo l’arresto, Lucas confessa. Da quel momento ha inizio un folle andirivieni di ammissioni, ritrattazioni, colpi di scena degni di un tragico vaudeville. Il Texas Ranger Jim Boutwell “adotta” il detenuto nella “sua” prigione, quella  della contea di Willamson, e, da allora, dalla bocca sdentata di Lucas usciranno centinaia di confessioni dei più truci omicidi perpetrati negli ultimi vent’anni negli Stati Uniti. Lucas, stimolato da Boutwell e dai suoi sodali, osserva le foto dei delitti e, rimpinzato di frullati alla fragola, i suoi preferiti, e trattato più come un amico-ospite che come un detenuto, si trasforma nel serial killer più attivo di tutti i tempi, pure necrofilo: «Le ho uccise in tutti i modi possibili, tranne che con il veleno e tutte le ho possedute da morte», dichiara Lucas che tracima come una fogna impazzita.

Alcuni media parlano persino di 600 vittime, mentre i poliziotti di mezza America (in realtà Lucas confessa 217 omicidi in 19 stati degli Usa, ma molti altri afferma di non ricordarseli) si mettono in coda, come fossero alle Poste, nella prigione dorata della contea di Williamson per potergli parlare (20 minuti ciascuno…) e dichiarare risolti i propri casi.«Serial killer or serial liar?» ovvero assassino seriale o bugiardo seriale? Questo il titolo di un esplosivo articolo del Dallas Times Herald  firmato da Hugh Aynesworth (già autore di un noto libro su Ted Bundy) a proposito di Henry Lee Lucas (una curiosa somiglianza fisica con Matteo Renzi, notata da me, ovviamente, non da Aynesworth… ). Boutwell diviene una sorta di eroe nazionale, soprattutto per i parenti delle vittime, finché un giovane procuratore della vicina Tusco, Vic Feazell, comincia a nutrire qualche dubbio sulla sincerità di quella “mitragliatrice” di omicidi. E, in breve, dimostra la falsità delle confessioni dell’uomo, affermando che è stato “imboccato” dai Texas Rangers: una metologia conveniente sia a Boutwell, che si fa onore, che a Lucas convinto di posticipare ad libitum la condanna a morte. Le accuse di Feazell, ovviamente, non vanno giù ai Rangers il cui capo, guarda un po’, era stato il vice di J. Edgar Hoover all’Fbi e di trame occulte se ne intendeva parecchio. Viene così intessuto un vero e proprio schema di delegittamazione del procuratore Feazell che sarà arrestato con prove costruite ad hoc. Feazell, però, verrà assolto e, a questo punto, il castello di carta dei Rangers crolla. Lucas ritratta tutto, ma viene comunque condannato all’iniezione letale per 11 omicidi (per altro, mai provati).

Ciò che più inquieta in questa vicenda ai limiti del surreale è lo strazio dei parenti delle vittime: prima fautori della pena di morte per Lucas, poi, quando via via, molti degli omicidi (grazie alle analisi effettuate dei vari DNA che negli anni passati non esistevano ancora) venivano risolti e i veri assassini arrestati, finivano per perdere la bussola: le false confessioni di Lucas cascavano come birilli, una dopo l’altra, grazie anche al capillare intervento della Cold Case Foundation, specializzata in delitti irrisolti del passato. Il tutto condito da continui colpi di scena. Il più clamoroso, quello relativo a una delle vittime, Becky, una ragazzina che era stata la fidanzatina quindicenne di Lucas negli anni 60 che, rediviva,  afferma: eccomi qui, non sono morta. Peccato che, in realtà, sia una mitomane innamorata di Henry e che vuole salvarlo dalla pena di morte. Interverrà George W. Bush, allora governatore del Texas e futuro presidente Usa, a salvare la pelle di Lucas, concedendogli la grazia (prima volta in Texas!). La regia di Robert Kenner (quello di Food, il film sul cibo spazzatura del 2008) e Taki Oldham è avvincente, le musiche di  inquietanti al punto giusto. Forse, chi più potrebbe essersi avvicinata alla verità è la giornalista Nan Cuba che ha seguito capillarmente il caso: «Come hanno rivelato alcune perizie psichiatriche, Lucas soffriva di confabulazione, ovvero un sintomo psichico che consiste nella costruzione fantastica di falsi ricordi riferiti a situazioni ed avvenimenti irreali». Può darsi. Fatto sta che solo 20 casi fra quelli che Lucas inizialmente s’era attribuito sono stati ufficialmente risolti e altrettanti assassini arrestati. Sempre assediato dai giornalisti, Lucas affermerà fino all’ultimo: «Non ho mai ucciso nessuno, solo mia madre e, forse, neppure lei..». Il suo segreto se lo porterà nella tomba: ingrassato e malato, morirà, infatti, in carcere, il 12 marzo del 2001.