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The Cellar

2022
REGIA:
Brendan Muldowney
CAST:
Elisha Cuthbert (Keira Woods)
Eoin Macken (Brian Woods)
Dylan Fitzmaurice Brady (Steven Woods)

Il nostro giudizio

The Cellar è un film del 2022, diretto da Brendan Muldowney.

L’horror, come noto, riscrive continuamente se stesso. È forse il genere che più si nutre dei propri archetipi: li postula e poi sembra lasciarli, ma in realtà li elabora, rimastica e presenta in nuova forma. Tutto si ripropone sempre. Non a caso i grandi storici mostri tornano a intervalli irregolari, come nella seconda giovinezza del vampiro durante l’epidemia di Aids negli Usa degli anni Ottanta, con l’orrore del sangue infetto. La cantina è uno di questi archetipi. Uno spazio mentale e psicanalitico che percorre in orizzontale la storia del genere: a partire da immagini e forme più note, come Freddy che attira le sue vittime nella stanza delle caldaie in Nightmare (1984), sino alla riscrittura più contemporanea, che rilancia il luogo orrorifico della cantina nell’instant cult The Babadook di Jennifer Kent (2014). Non stupisce allora l’operazione del regista Brendan Muldowney, che nel 2022 confeziona The Cellar (la cantina, appunto): ecco per l’ennesima volta il luogo occulto, nascosto, che sta proprio sotto i nostri piedi e forma una contrapposizione tra piani, superiore e inferiore. Dualismo che è anche – in tutta evidenza – la polvere sotto il tappeto della famiglia borghese americana, la resa dei conti all’interno della famiglia, ciò che preferiamo non vedere.

The Cellar segue la parabola della famiglia Woods, che lascia la vita precedente per trasferirsi in una nuova abitazione isolata. La madre Keira (Elisa Cuthbert) lavora in un’azienda di marketing digitale, di ultimissima generazione e si impegna a portare avanti il nucleo; la figlia adolescente Ellie (Abby Fitz) è quella che soffre più il cambiamento e respinge l’idea della nuova sistemazione. Quando, per una serie di circostanze, una notte resta a casa da sola e senza luce dovrà recarsi proprio in cantina per ripristinare il quadro elettrico: in quel momento la giovane scompare… Senza dire molto, lasciando il privilegio dello svelamento graduale, il punto della questione sta innanzitutto nel suo portato simbolico: una donna che lavora in un luogo ultramoderno, creando immagini pubblicitarie di prodotti e influencer, viene costretta a voltarsi indietro e tornare all’atavico, a riaprire una trattativa col nostro lato oscuro: perché a pochi gradini da noi, dalla vita agiata c’è sempre l’irrazionale, l’impensabile, il diavolo probabilmente.

Se la premessa è chiara e legittima, il vero problema del racconto è che le forme vengono rielaborate solo in apparenza: la storia si apre con un’ottima intuizione, quella del conteggio infinito che va molto oltre i dieci gradini, e diventerà leitmotiv per insinuare l’esistenza di un livello altro, più profondo del visibile, qualcosa sotto di noi e a lato della nostra comprensione, a cui si arriva contando senza più fermarsi. È la trovata più inquietante, e forse anche l’unica, per un discorso che poi ripiega sulle immagini più abusate limitandosi alla loro riproposizione: dalla pallina che rotola per le scale alla dialettica tra luce e buio, porta chiusa e aperta, The Cellar reinstalla nell’oggi una cantina già vista, conosciuta, senza riuscire a ravvivare davvero la materia da cui trarre l’orrore. Da parte sua Muldowney impasta tra loro due classici: uno è Poltergeist, con la mamma che entra nel limbo per riprendersi la bambina e ricomporre così l’armonia famigliare; l’altro è L’aldilà, soprattutto nella raffigurazione scelta nel finale. Ma ovviamente non si può nemmeno sfiorare il capolavoro immortale di Fulci. Ed ecco che si torna al problema della mera riproposizione, letterale, senza un’ipotesi forte di rilettura personale. Peccato.