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The App

2019
REGIA:
Elisa Fuksas
CAST:
Vincenzo Crea (Niccolò)
Jessica Cressy (Eva)
Greta Scarano (Ofelia)

Il nostro giudizio

The App è un film del 2019, diretto da Elisa Fuksas.

Mettiamola così: non potendo premiare questo film, facciamone un esempio di cosa non va nel cinema italiano attuale. Quando passi l’indicatore del mouse sulla finestrella di The App su Netflix, la curiosità è inevitabile. Pensi: “È italiano, è di genere, ha qualcosa che mi spinge a vederlo”, ma poi? Cominciamo da un’altra opera che è evidentemente legata ad esso, ossia I figli della notte diretto da Andrea De Sica: l’estetica è simile, il protagonista è lo stesso ma non vi è quel senso di inconcludenza che invece coglie alla fine del film di Elisa Fuksas. Non vi è anche dubbio che le tematiche che accomunano i lavori di questi due “figli di” siano di facile lettura, visto che proprio i “figli di” sono i protagonisti, belli e dannati, delle loro storie sull’upper class. Un’alta borghesia che De Sica è riuscito a mettere alla berlina, proseguendo poi il discorso con la serie Baby, mentre la Fuksas, in The App, la sfiora appena per concentrarsi su un noir fantascientifico dai tristi esiti. Abbiamo infatti Niccolò, rampollo del solito riccone assente, che però vuole perseguire il successo solo con i propri mezzi sfondando come attore.

Vive a Los Angeles e sta con Eva, studentessa francese che, per il puro gusto della ricerca, lo fa iscrivere ad una app che trova l’anima gemella o la scopatina di una notte. Niccolò accetta controvoglia e parte per Roma per recitare in un film dove interpreterà Gesù Cristo. Il ragazzo svilupperà presto un’ossessione per questa applicazione e per Maria, il perfect match sfuggente dalla voce suadente di cui inevitabilmente s’infatuerà. Questo il plot principale, al netto delle mille parentesi che vanno via via aprendosi, tra cui la fidanzata che si presenta a Roma incinta, la misteriosa cameriera dell’albergo dove “Nick” alloggia, le riprese del film che non iniziano mai e via dicendo. Molta carne al fuoco, compresi due guest actors come Maya Sansa e Abel Ferrara. Parentesi che vengono al massimo socchiuse, lasciate andare o buttate lì senza un vera e propria cesura. Rimane un abbozzo, una vaga comprensione del significato e del significante, come l’artificialità dell’esistenza umana e di tutto ciò che di concreto vi è in essa, a partire anche dalla parte più sacra, rappresentata da Ofelia, che punisce la carne e insegue, contempla e adora l’icona, la rappresentazione, il non-originale. Un mondo ormai rarefatto dove anche le sensazioni più naturali dell’uomo sono frutto dell’immateriale.

Non che non vada bene, dunque, affidarsi a categorie estetiche molto in voga oggigiorno, dalle fredde rappresentazioni sorrentiniane agli eccessivi cromatismi di Refn; tuttavia questa ricerca di innaturalità ed anti-realismo si rivela un’arma a doppio taglio letale quando c’è da mostrare sostanza. La fascinazione per l’apparato visivo cala inevitabilmente e l’alternarsi d’immagini provenienti da diversi dispositivi appare più una furba banalità che un piano a lungo studiato, così come alcuni virtuosismi della macchina da presa che hanno valenza più onanistica che tecnica o artistica. A chiudere il tutto, la ripresa di un tema ormai esaurito da Spike Jonze in Her: la vera delusione del film, il quale si dimostra definitivamente privo di una vita propria, un’operazione derivativa che non ha i muscoli per reggere il confronto con i modelli che chiama in causa. Cosa non va quindi in The App e quindi nel cinema italiano attuale? Scarsità di idee, poca sostanza e supponenza mascherata da qualità.