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The Antenna

2019
REGIA:
Orcun Behram
CAST:
Gül Arici (Yasemin)
Elif Cakman (Cemile)
Murat Saglam (Hakan)

Il nostro giudizio

The Antenna è un film del 2019, diretto da Orcum Behram.

The Antenna è straniato e rarefatto, a metà tra Lynch e Cronenberg, con un approccio narrativo da fumettone dark e un po’ di museo del cinematografo “Fritz Lang”, ma attenzione perché Orcum Behram usa questi richiami cinefili contro lo stesso spaccato fantapolitico vintage che mette in scena. La storia è ambientata in un decadente scenario urbano tra la Turchia odierna e la Germania comunista. I personaggi sono tutti ragionevolmente infelici, incastrati in un sistema sociale ordinato e repressivo, la cui alternativa è solo la fuga verso un non si sa bene dove e come. In questo scorcio disperato si muove la figura di Mehmet (Ihsan Önal) custode di un palazzo condominiale un po’ alla Buster Keaton e un po’ alla Henry Spencer, che assiste, con occhio assonnato ma partecipe, la processione insensata degli spettrali condomini: la famigliola in odore di pedofilia; la casalinga intossicata di TV e precarietà economica; la donna avvenente e attempata in cerca di un elisir cosmetico da iniettarsi sottopelle; l’amministratore untuoso e asservito alle oscure manovre governative. Tutti quanti si trascinano ignari ai piedi della misteriosa antenna, che è sul tetto da poco tempo ma è già “responsabile” della morte del tecnico che è salito a istallarla, precipitando e spiaccicandosi al suolo subito dopo aver finito il lavoro. Il programma governativo è di metterne una, nera e minacciosa, su ogni tetto domiciliare. Così da poter inviare a tutti quanti i teledipendenti delle misteriose e nuove trasmissioni, in aggiunta a quiz e telegiornali sotto-umani che già tutti guardano senza reagire.

Intanto un liquido nero, simile a inchiostro, goccia dall’antenna sul tetto, filtra negli appartamenti, cola dalle mattonelle, fa gemere in modo lancinante i tubi nei muri e produce morte e mutazioni. L’antenna nera sparge il suo nettare intossicante dentro il condominio, lobotomizza gli inquilini e tenta persino con il custode Mehmet un sodalizio catodico-carnale. Tanto per non farsi mancare nulla, il regista Behram in The Antenna, si concede un riallaccio al cyberpunk estremo di Tetsuo, mentre le trasmissioni governative, gestite da un nazi-marziale Big Brother dilaga dai televisori. Costui parla senza entusiasmo alle masse domiciliate di un radioso futuro in cui tutti i media saranno appiattiti in un prorompente messaggio di pace. Il liquame goccia e goccia infradiciando tutto, fuoriesce anche dalle prese di corrente, come un Blob catodico inarrestabile che ingelatina di oscurità e ottundimento un popolino già abbastanza frollato. L’Antenna infatti è solo il colpo di grazia (udito) a un persuasivo messaggio di resa già professato in altre quattro lingue: (vista) un disegno urbano scoraggiante e una meteorologia ingrigita e appiattita dai gas inquinanti; (tatto) una diseducazione formativa all’affetto e alle emozioni che inizia dall’infanzia, fatta di uccellini in gabbia e corvi neri famelici fuori dalla finestra, e da guerre; (gusto) stenti economici, assenza di lavoro e privazioni della dignità; (odorato) putredine che avanza e si appropria dei muri, le vasche e i letti. A questo pubblico suddito resta solo un epilogo sessuale e sentimentale di sterile apparenza.

Amanti che nemmeno si guardano, genitori e figli che si trascinano a tavola e poi sul divano dicendosi poco o nulla, annaffiando reciprocamente col diserbante mediatico, quel bisogno d’amore che dovrebbe unirli e che invece diviene balbettio, sguardi tesi e stanche effusioni. Questo mondo è carne frollata per le fauci dell’Antenna. Attenzione, però, The Antenna non sembra tanto una parabola surrealista sui totalitarismi ma più una sorta di riproduzione pignola di un meteorite culturale del passato. Behram usa il modernariato cinematico indie anni 80, impelagato di paure orwelliane, synth futuristi sparati in colonna sonora, una fotografia cruda e snob, un automatismo attoriale di maniera, tutto questo bric-a-brac estetico, per ri-connettere lo spettatore a una specie di cellula temporale (1985-1991) in cui l’umana fantasia occidentale era intossicata di paranoia politica e desideri di fughe individualiste, ribellioni poetiche contro un mondo sempre più sinistro e assuefazione a una società “lisergizzata” da smog espressionista e TV commerciale. Sarebbe un errore trarre un messaggio politico sull’oggi da The Antenna. Sembra più un incubo a occhi aperti, una riproduzione attenta e perfida di una umanità che immaginativamente fu, la quale, nonostante gli sforzi tetri e disperati ai piedi del muro di Berlino, non riusciva comunque a vedere che cazzo di mondo sarebbe arrivato: un mondo in cui il totalitarismo non era nell’annientamento delle individualità e nella passività mediatica ma nell’offerta collettiva di un microfono e un palchetto virtuale personalizzato, con l’aggiunta di un pubblico microfonato e palchizzato, cervelli e cuori a forma di pollice e un virus pandemico that blowing in the wind.