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Temptation

1969
Titolo Originale:
Temptation
REGIA:
Lamberto Benvenuti
CAST:
Mark Damon
Stefania Careddu
Nicoletta Machiavelli

Il nostro giudizio

Il  primo titolo, al via delle riprese, il 22 gennaio del 1968, era Un amore così. E il nome del regista, nelle carte ministeriali, era quello di Franco Prosperi. Ma ai generici della copia ultimata e montata, esce come titolo Temptation e come regista Lamberto Benvenuti, al secondo film dopo uno spionistico e al penultimo, prima del successivo La stirpe di Caino. Cosa sia successo, è difficile dirlo, ma Benvenuti si portò poi dietro la protagonista Stefania Careddu anche nel film dopo, quindi pensare a qualche magagna o a un accredito di comodo per x ragioni non pare verosimile. Produce la Anavlis dei fratelli Bizzarri, con sceneggiatura del regista, di Giacinto Giaccio e Massimo D’Avack (e anche qui le carte divergono, indicando un soggetto di Ennio Platerotti e Mino Roli come unico sceneggiatore), che punta dritta due stelle polari concettuali dell’epoca: da un lato, la spinta verso l’integrazione borghese, con il ribelle che alla fine torna nei ranghi; e dall’altra, l’eros, nella declinazione di quell’eccessivo avvampamento di sensi, femminile, che passa sotto il nome di ninfomania. Il tema è: può l’amore rimediare alla tentazione del titolo, per quel che riguarda la bella Stefania Careddu, pittrice belga approdata in Italia al seguito di un “amico” maturo? E può, lo stesso amore, far sì che un giovane architetto rampante, Mark Damon, collegato a un giro di ricchi e potenti, amante della moglie di uno di questi (Nicoletta Machiavelli), svincolarlo da quel sistema, al quale aderisce? C’è un bell’inizio, in cui vediamo un tizio cercare di avvinghiare la Careddu su una spiaggia, e quando lei lo respinge, l’uomo si getta su un’ancora conficcata nella sabbia, impalandosi. Poi, si passa a lumeggiare Damon, che va a letto con la Machiavelli forse anche perché gli conviene (e tra loro i rapporti sono già incrinati). Fatto sta che quando Danielle Laroche (la Careddu) arriva nell’orbita di Guido Valeri (Damon), tra i due scatta il colpo di fulmine, quasi subito, di ordine fisico dapprima, ma che presto si sublima in qualcosa di diverso.

Nel clan che fa da corona alla vicenda, tutti se ne accorgono, a cominciare dalla Machiavelli, che mastica ovviamente fiele ma non può nulla. Damon, dal canto suo, rinuncia alle orgette che gli propone il suo amico Jan Sobieski, con una bianca (Ivy Holzer) e una nera (Beryl Cunningham) e si rifugia tra le braccia di Danielle. Non senza tormenti, però, come vediamo in una lunga e bella scena meditativa, con sopra la musica di Piccioni, in cui l’architetto si aggira per la casa buia, chiedendosi che fare. Intanto, i “poteri forti”, rappresentati dal marito della Machiavelli, Mario Pisu e dai suoi amici (tra i quali Claudio Gora), capendo che quello  gli sta sfuggendo di mano, lo spediscono per un incarico cui non si può dire di no, per prestigio e carriera, a Milano. Ed è in quei giorni in solitudine che Danielle viene assalita dal fuoco che nessuna doccia può estinguere (una di esse, dà agio a una ripresa dal sopra di lei che si lava, molto intrigante), per cui si mette a vagare per la Roma notturna e viene “tentata” prima da un gruppo di operai che lavorano su una strada, ma resiste e scappa via, finendo poi circondata da un gruppo di giovinastri in moto, che quando la vedono abbattersi a terra in smanie, prendono paura e se ne vanno. Tornato Damon alla base, Danielle gli si getta tra le braccia ma commette l’errore di rivelargli le sue smanie e la sua resistenza ad esse, grazie all’amore che prova per lui. Quello, schifato, la respinge e non fa niente per impedire che la poveretta se ne torni in Olanda. Forse le telefonerà, le dice, Ma non appena la donna varca la porta e si allontana, lui alza la cornetta per riallacciare con la Machiavelli.

Magari la facciamo banale, ma la fine  è piuttosto potente e l’ipocrisia e la repellenza del personaggio di Damon, che era nei voti smascherare, sono evocate con grande efficacia. La Careddu, attrice bergamasca che arrivava dagli spionistici, dai western, e che aveva appena fatto Don Giovanni in Sicilia, di Lattuada, è un incanto: bellissimo viso, espressiva, gran corpo, viene servita nei suoi bollori carnali in sequenze colorate stile psichedelico (memorabile quella sua spiaggia, distesa al sole). E anche Damon ha il suo perché interpretativo, benché nell’epilogo, quando telefona alla Machiavelli, stenti un pochino. Il 21 novembre del 1968, in censura, lo fecero passare con un vm 18, una volta verificato che fossero stati effettuati i tagli richiesti, tutti in scene coinvolgenti i due protagonisti (1: ampia riduzione dell’amplesso a terra – sequenza dei due corpi che rotolano l’uno sull’altro; sequenza dell’uomo che accarezza le parti posteriori della donna, attuando una sorta di spogliarello; sequenza dell’uomo che bacia il seno nudo della donna; – 2: eliminazione del primo piano della donna che, con un seno scoperto, appare accanto al protagonista; – 3: scena della doccia, allorché la donna appare, in controluce, accarezzandosi i seni e, quando, vista dall’alto esce dal bagno col corpo completamente nudo; – 4: scena della donna che si contorce a terra allorché si vedono le mutandine). Prima pubblica proiezione al cinema Italia, di S.G. Vesuviano (Napoli), il 29 gennaio 1969.