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Tau

2018
Titolo Originale:
Tau
REGIA:
Federico D'Alessandro
CAST:
Marika Monroe (Julia)
Ed Skrein (Alex)
Gary Oldman (Tau)

Il nostro giudizio

Tau è un film del 2018, diretto da Federico D’Alessandro.

È inutile che stiamo qui a raccontarci storie. Nonostante le centinaia di ammennicoli tecno-sboroni di ultima generazione di cui siamo soliti circondarci ogni giorno, il nostro rapporto con la tecnologia è, ancor oggi, tutt’altro che idilliaco. Basta, infatti, una disgraziata combinazione di tasti o un click sbagliato al momento sbagliato per gettarci nel panico più totale, succubi di dispositivi che, per nostra fortuna, non sono ancora in grado di pensare autonomamente ma che si mostrano comunque ben lieti di darci parecchio filo da torcere. Cosa potrebbe accadere, dunque, se, in un prossimo futuro (che è già presente) un pazzoide scapestrato con parecchi venerdì fuori posto partorisse la brillante (e malaugurata) idea di progettare un’intelligenza artificiale talmente perfida e spietata da far apparire la Regina Rossa di Resident Evil un’allegra fata turchina? A trastullarsi con un tale promettente soggetto si sono avvicendati lo sceneggiatore Noga Landau – le cui ossa si sono irrobustite dietro gli script della serie tv The Magicians – e il regista uruguaiano Federico D’Alessandro, entrambi pronti a esordire al lungometraggio cinematografico con Tau, discreto thriller sci-fi che tenta, con esiti alquanto altalenanti, di amalgamare le distopie cyberpunk legate alle A.I con la struttura classica di un trap movie. Il risultato non è certo dei più freschi e rigogliosi, ma, quantomeno, si lascia fruire senza troppi inciampi, inducendoci, per l’ennesima volta, a guardare con un certo inquietante sospetto al lato più oscuro e bricconcello dei nostri beneamati assistenti digitali.

Ennesimo disperato tentativo targato Netflix di baloccarsi con le suggestioni della fantascienza distopico-tecnologica, Tau vede la giovane e ribelle Julia (la gloriosa Maika Monroe di It Follows) acchiappata e rinchiusa come un cane randagio nella cyber-magione/prigione del diabolico Alex (Ed Skrein tonico come un bronzo di Riace e fuori come un balcone), amministratore delegato di un’importante azienda informatica prossima a elaborare un’innovativa intelligenza artificiale denominata Tau (Gary Oldman immenso e suadente anche solo con la voce). Tuttavia, il robottone di ultima generazione con la fissa per la musica classica viene segretamente impiegato dal mad doctor di turno in qualità di aguzzino personale a guardia delle numerose cavie umane occultate nei sotterranei della struttura, poveri e sfortunati cristi a cui viene riservato un destino decisamente non proprio felice. Costretta a sottostare a stressanti test cognitivi, senza alcuna sicurezza di rivedere un bel dì la salvifica luce del sole, a Julia non resta che tentare di instaurare un rapporto di pseudo-complicità con l’A.I, facendo leva sulla sua insaziabile sete di conoscenza e portandola a dubitare persino di sé stessa e del proprio famelico creatore. Cyber-thriller + trap movie + tanto tanto formalismo alla Refn = Tau. Anche invertendo l’ordine degli addendi, il risultato non cambia di una virgola, rendendo l’esordio registico di D’Alessandro un’opera certamente ben confezionata e, per certi versi, a suo modo interessante, seppur viziata da un lezzo stantio di già visto e sentito derivante da un materiale narrativo spacciato per innovativo ma già servito da molto molto tempo alla strabordante tavola dello sci-fi 3.0.

I soliti pippottoni filosofico-esistenzialisti da new techno age sulla progressiva presa di consapevolezza identitaria di un’intelligenza artificiale – con annessi e connessi svarioni legati al rapporto Creatura vs Creatore di frankensteiniana memoria –, pur risultando ormai reiterati e maneggiati con una certa approssimativa semplicità, si mostrano capaci, sempre e comunque, di far nascere un sano interesse per le aberrazioni che, oggi come ieri, legano l’uomo alla tecnologia, dando vita a una suggestiva Sindrome di Stoccolma alla rovescia che vede un ennesimo figliastro dell’HAL 9000 kubrickiano intendersela parecchio con una bionda preda decisamente agguerrita che, a confronto, la Uma Thurman tarantiniana pare poco più che una suora di clausura. Nonostante la licenza elementare, evidentemente tirata per i capelli, dello special effects coodinator Muhamed M’Barek – uno che, nonostante abbia ficcato il naso in produzioni del calibro di 3 Days to Kill, Jukai – La foresta dei suicidi e Chernobyl Diaries, qui deve aver accusato un serio deficit di attenzione –, Tau si lascia assaporare fino alla fine senza eccessivi reflussi gastrici, attivando quel minimo di neuroni (e di briciole etiche) ancora servibili nei nostri sovraeccitati cervelli di video-spettatori compulsivi,  ricordandoci che, se mai un domani al nostro caro Siri dovessero malauguratamente girare le balle, i cavoli amari non saranno certo quelli che verranno serviti per cena. Uomo avvisato, mezzo salvato!