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Stoker Hills

2020
Titolo Originale:
Stoker Hills
REGIA:
Benjamin Louis
CAST:
Tony Todd (Professor Smith)
Steffani Brass (Erica Gallagher)
David Gridley (Ryan)

Il nostro giudizio

Stoker Hills è un film del 2020, diretto da Benjamin Louis.

Avete presente quella bizzarra zietta che, nonostante la veneranda età, ancora si ostina a girare in minigonna e ciuffo platinato, impudentemente incurante dello spietato incidere del tempo, pensando di riuscire a far sospirare qualche bel giovincello? Ebbene, da un certo punto di vista Stoker Hills pare proprio somigliarle, con quel suo retrogusto da b-movie pietosamente fuori tempo massimo che, se ancora ancora una decina d’anni orsono poteva forse far simpatia, oggi come oggi non può che evocare la più assoluta e pietosa indifferenza. E non è tanto per la melanconica testardaggine nel voler pretendere di evocare brividi con l’ausilio dell’ormai decadente estetica da videocamera traballante, quanto piuttosto la presunzione di imbastire un thriller meta cinematografico in odore di Saw senza la ben che minima voglia di variare gli ingredienti di una minestra ormai insipida e annacquata. E non si spiega affatto come un ottimo mestierante a costo zero come Benjamin Louis, reduce dal sorprendente e inquietante State’s Evidence (2004), abbia anche solo potuto pensare di tirare nuovamente a campare con una robetta del genere: triste, anonima e inconsistente tanto quanto una medusa spiaggiata in pieno agosto.

Attraverso un’alternanza tutt’altro che armonica tra found footage ed estetica tradizionale, questo malfamato Stoker Hills vorrebbe narrarci del misterioso ritrovamento, da parte delle forze dell’ordine, di un file video contenente un sedicente film horror realizzato da una coppia distudentelli di cinema (David Gridley e Vince Hill-Bedford) testimoni, nel pieno delle riprese, dell’improvviso rapimento dell’amica e screem queen Erica (Steffani Brass) da parte di un misterioso individuo incappucciato. A seguito dell’improvvisa scomparsa dell’intero gruppo di incauti filmmaker, il detective Adams (Eric Estebari), seguendo i traballanti e sottoesposti indizi custoditi nel filmato incriminato e avvalendosi della collaborazione del dottor Brooks (Jonathan Beasley), tenterà di ricostruire l’accaduto, giungendo sino ad un diroccato capannone isolato nel mezzo di un bosco nel quale, forse, la mattanza compiuta dall’oscuro killer di turno non può ancora dirsi del tutto conclusa. Soprattutto quando il nostro sinistro figuro dimostra di non aver gradito un trapianto a base di cuore di maiale. Tranquilli, non esaltatevi, è ben più semplice di quanto non sembri…

Mano mano che i minuti scorrono inesorabili e gli sbadigli si fanno sempre più larghi, Stoker Hills rivela sino in fondo la propria assoluta mancanza di spina dorsale, ostinandosi a voler mettere in scena un racconto totalmente privo non solo della più microscopica molecola di tensione, quanto piuttosto completamente sprovvisto di un’autentica ragion d’essere che ne giustifichi l’esistenza in un’epoca in cui di inquadrature in pericolo di rigurgito e gentaglia che scorrazza urlando in mezzo alle selve oscure si comincia a non poterne davvero più. Ma se il poco o nullo valore delle sequenze in cine-horror verità traspare  limpido sin dalle primissime battute – con due tizi che si spacciano per futuri registi senza saper nemmeno tener ferma una dannata videocamera –, il vero problema risiede invece nella narrazione più propriamente “cinematografica”, gestita con un tale senso di pochezza e raffazzoneria che un po’ tutto, dalla fotografia alla messa in quadro passando per la recitazione, non pare degno nemmeno della più blanda puntata di un modesto crime televisivo.  E non serve a nulla riversare le proprie speranze in un Tony Todd in evidente vacanza premio intento a gigioneggiare, per meno di cinque minuti, nelle vesti un inconsueto professore di critica filmica, dato che, quando il gioco si fa duro e gli ingranaggi narrativi iniziano faticosamente a girare, ci si rende conto di trovarsi dinnanzi a uno script confezionato con il piede sinistro, dove una storia di una banalità sconcertante viene allungata per ben novanta minuti a suon di improbabilissimi colpi di scena, secondi solo a un altrettanto improbabile epilogo che definire “telefonato” è un generosissimo complimento. Certo, di questi tempi tutto fa brodo. Ma un pizzico di sale e ciccia in più non sarebbe certo guastato, anzi…