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Sto pensando di finirla qui

2020
Titolo Originale:
I'm Thinking of Ending Things
REGIA:
Charlie Kaufman
CAST:
Jesse Plemons (Jake)
Jessie Buckley (Lucy/Louisa/Lucia)
Toni Collette (Suzie)

Il nostro giudizio

Sto pensando di finirla qui è un film del 2020, scritto da Charlie Kaufman.

Siamo nei giorni post-Tenet, ossia quello dei meme su cosa sia o non sia questo nuovo film di Nolan e, soprattutto, sul fatto che, in molti, ammettono candidamente di non averci capito un emerito cazzo. Nel frattempo esce questo titolo su Netflix, che non può non incuriosire. Charlie Kaufman si porta dietro una reputazione importante, specie per i cinefili, diciamo, più raffinati o di bocca buona: gli snob, direbbe qualcuno senza molti filtri espressivi. Inoltre, ti si presenta con una trama di base che può attrarre a sé anche i profani del suo cinema. Sto pensando di finirla qui usa il genere come specchietto per le allodole, ma cela al suo interno qualcosa di molto più complesso. E quindi cosa ci si può aspettare in pre-visione? Sicuramente non un horror, forse un mindfuck di matrice simil-fantascientifica. Attese che vengono progressivamente tradite dall’intento autoriale di parlare, anche in maniera alquanto stancante, dei cosiddetti massimi sistemi. Non una cosa da una botta e via, insomma.

Partendo dall’inizio, se di esso si può parlare, abbiamo una protagonista femminile, sul cui vero nome rimarrà sempre il mistero. Mentre è in macchina insieme al fidanzato Jake per andare a conoscere i genitori di lui, medita sulla possibilità di farla finita. Lasciarlo? Togliersi la vita? Entrambe le cose? La voce off della nostra si alterna ai dialoghi con Jake in un all’apparenza interminabile viaggio in macchina che dovrebbe permetterci di conoscere meglio questi due mediocri protagonisti. L’arrivo dai suoceri e le successive interazioni, che è anche la parte più interessante ed inquietante del film, comincia a far crollare, volutamente, il sistema su cui si poggia la storia. In questa verbosa prima parte, ogni cosa si dimostra vera e falsa al tempo stesso: si ha la certezza, per alcuni la speranza, di essere entrati in una dimensione altra, dove il tempo e lo spazio obbediscono a regole totalmente anarchiche. Toni Collette e David Thewlis si confermano eccellenti interpreti nel ruolo di questi strani genitori, mentre l’atmosfera si fa piacevolmente sempre più pesante e claustrofobica: se ne andranno mai da quella casa? Non si può poi non tenere drizzate le antenne sull’altra trama, quella falsamente sconnessa del bidello del liceo. A questo punto le regole d’ingaggio sono chiare: come diceva John Landis in The Kentucky Fried Movie, “aspettatevi l’inaspettato”.

 Ci si avvia dunque alla chiusura del cerchio dove i conti tornano, ma anche no. Si comprende, dopo altre due fermate in altrettanti luoghi, la natura degli stessi. Sto pensando di finirla qui, tratto dall’omonimo romanzo di Ian Reid, è un racconto della mente e sui ricordi dove i personaggi esistono ad uno scopo ben preciso. Onirico e riflessivo, in questa trasposizione cinematografica per niente propenso a volersi spiegare con facili escamotage ma solamente attraverso piccoli dettagli ed elementi. C’è solo un evidente ribaltamento dei ruoli a suggellare l’accordo con lo spettatore: è così, spero che tu ci sia arrivato. Un modus operandi che risulterà sicuramente divisivo, quando in realtà sarebbe preferibile non cadere nel tranello e rimanere in medias res. Perché se è pur vero che un film così complesso su una piattaforma come Netflix sia una mosca bianca, è altrettanto pacifico che manchi drammaticamente l’occhio clinico di un vero metteur en scène. Di qualcuno capace di tenerti davvero incollato davanti allo schermo. Non me ne vogliano gli epigoni di certo cinema volgarmente chiamato intellettuale, ma anche il complesso ha bisogno di un po’ semplicità spruzzata qua e là.