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Stilema

2022
Titolo Originale:
Stilema
REGIA:
Roger A. Fratter
CAST:
Fabio Mazzari
Valentina Di Simone
Enrico Mutti

Il nostro giudizio

Forte di una vittoria come migliore regia al NEZ Festival di Calcutta, per il suo thriller dello scorso anno, Blu38 (che nella stessa manifestazione si è aggiudicato anche il premio per la migliore interpretazione femminile, andato ad Antonella Ponziani), Roger A. Fratter ha diretto un nuovo lungometraggio, prodotto, come Blu38, dalla Adamantis di Cesare Giromini e Dario Maria De Luca. Stilema, si intitola, ed è un’operazione piuttosto spiazzante, nel senso che sta al di fuori del perimetro di quel che siamo abituati a vedere nel cinema indigeno, sia come “alto” sia come “basso”, e sia come idea che come forma. Chiaro che se si conoscono i pregressi indipendenti di Fratter, specie i film dell’ultima sua fase “esistenzialista”, linee di continuità se ne trovano, ma resta un esperimento, Stilema, assolutamente non catalogabile facendo ricorso, diciamo così, al noto. Vi si racconta di un anziano uomo politico, ex senatore, intellettuale, scrittore, filosofo cinico, alla guida finora della segreteria di un partito politico di maggioranza, progressista anche se non viene specificato. Giorgio Aurispa, interpretato dall’istrionico Fabio Mazzari, è un uomo al declino, deciso a mollare tutto e a consumare l’ultimo tratto di vita insieme alla sua giovane moglie, Daria (Valentina Di Simone, già in Blu38), con la quale si è rinchiuso nel buen retiro di una vecchia villa in Liguria. Che gli resti poco tempo, lo apprendiamo in tempo reale, insieme a lui, tramite la laconica telefonata di un medico: “Stai per morire, Giorgio…”. Giocando d’anticipo sul tumore che gli sta devastando il cervello, Aurispa teatralizza il proprio suicidio sparandosi in bocca in una piazza, emulo del gesto di Dominique Venner, lo storico francese che nel 2013 si ammazzò platealmente dentro Notre Dame, lasciando come legato, nel suo blog, l’invito a mettere in atto “gesti spettacolari e simbolici”.

Il nodo della sceneggiatura, scritta dalla Di Simone con Giancarlo Mangione e con il regista stesso, sta in questa morte che forse morte non è, poiché la giovane vedova continua anche oltre l’exitus il rapporto con il marito, che le parla e la istruisce da quel piano astratto e disincarnato che ora è il suo. Niente di sovrannaturale, perché non è questione di spiriti oltretombali o cose del genere, quanto di un’ossessione, di una persistenza che sedimenta nella realtà. Aurispa era troppo, per sé e per gli altri, da vivo, e tale continua ad essere da morto. Questo solo per tentare di sintetizzare per sommi capi una narrazione complessa, ancipite, in cui i conti non sono obbligati a tornare. Nonostante qualche tocco di colore più lieve (un sit-in di femministe che sotto le finestre della casa di Aurispa inneggiano alla vulva o il cammeo di Anna Palco all’inizio, abbigliata come la celebre Zingara televisiva, che legge il futuro al protagonista), Stilema resta un film estremamente cupo, con una filosofia sepolcrale che è messa a contrasto con la ventosa luminosità delle ambientazioni liguri. L’atteggiamento ieratico e teatrale di Mazzari fa perfettamente gioco al “personaggio” che il suo carattere mira a essere, trovando una sponda efficace nella giovane Di Simone con la quale il consorte/mentore/padre ha stabilito un rapporto allo stesso tempo amoroso e tirannico. La ragazza paga le conseguenze di un’infanzia a dir poco complicata, dopo l’abbandono della madre (Antonella Salvucci, che ci gratifica di un grande nudo, per inciso) e un rapporto indefinito con il padre.

Nell’oggi, Daria compensa quei pesanti pregressi con la bulimia e con il sesso, avendo stabilito con il pressoché impotente Aurispa un patto di libertà, per cui le viene concesso di accompagnarsi sessualmente a chi vuole, perché il punto di partenza e di arrivo resta sempre quel dio in terra al quale è sposata e legata con catene indissolubili. La regia non lesina sulle sequenze spinte e la Di Simone non vi si sottrae: a un certo punto, ad esempio, il morto-vivente le impone di masturbarsi in un bagno pubblico e Fratter illustra senza alcuna reticenza. Così come colpiscono le sessioni bulimiche, durante le quali Daria si ingozza di pasticcini e di birra fino a vomitare. Si può forse obiettare che i dialoghi tendano talvolta troppo al concettoso, alla ricerca del calembour e dell’effetto puntuto a tutti i costi, ma la chiamata in causa spesso e volentieri di Pasolini non è merce di tutti i giorni: in un atto simbolico, Aurispa dopo avere detto a Daria che Il Poeta non poteva avere amici, essendo un uomo ontologicamente solo, le fa seppellire sotto un masso una copia del dvd di Salò. E qui, come spesso altrove nel film, qualcosa sfugge ma è giusto che ci sfugga, perché la parte più affascinante di individui come il protagonista è quella in ombra, il sommerso, che come tale – già lo abbiamo detto – non va né potrebbe essere spiegata. Certo, resta un film difficile, Stilema, ma ben vengano, in un mondo dove impera la luce grigia, i bagliori delle ombre.