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Sputnik

2020
REGIA:
Egor Abramenko
CAST:
Oksana Akinshina (Tatyana Yuryevna Klimova)
Fyodor Bondarchuk (Colonel Semiradov)
Pyotr Fyodorov (Konstantin)

Il nostro giudizio

Sputnik è un film del 2020, diretto da Egor Abramenko.

Il vetro del finestrino su cui si apre Sputnik riflette un manto stellato, visione celestiale e spaventosa di kubrickiana memoria. È dall’interno di una navetta spaziale che stiamo osservando lo spazio profondo, e il pensiero va subito alle avventure fantascientifiche che vi hanno avuto luogo: l’opening celeberrimo dell’Alien di Ridley Scott non sembra essere tanto lontano. Lo hanno marketizzato in questo modo, d’altronde, questo primo lungometraggio del russo Egor Abramenko: un revamp new-age del classico del 1979. La promessa intergalattica con cui Sputnik comincia non viene mantenuta a lungo. Non per un difetto del film: della visione cosmica dell’apertura, però, non c’è traccia altrove, se non in forma concettuale. Quello che segue all’incipit, invece, è una sorta di thriller complottista, un mystery fantascientifico che alle navicelle spaziali preferisce una base segreta simil-Area 51 dove l’astronauta Veshnyakov, miracolosamente sopravvissuto a una tragica missione spaziale, è tenuto prigioniero.

Il tocco sci-fi è chiaro ed esplicito, ma su un impianto meno mimetico di quanto sia dato aspettarsi. È ovviamente un’operazione pronta per l’esportazione quella di Abramenko, concepita per essere proposta sul mercato internazionale e quindi costruita a tavolino per risultare appetibile anche oltreoceano. Lecito aspettarsi, dunque, un canovaccio quantomeno immediato. Il racconto, che segue una psichiatra russa incaricata di investigare sulle condizioni del suddetto cosmonauta, è difatti di una limpidezza accattivante, alla lunga schematica nel suo snodarsi fra i canoni del genere, tra creature spaziali (e qui il richiamo a Scott è corretto) e dirigenti governativi dall’etica dubbiosa. I cliché sono tutti presenti, ma l’accumulo di luoghi comuni non è motivo di preoccupazione: nella rielaborazione dei topoi della fantascienza americana c’è più di una semplice operazione di importazione culturale. L’intenzione, sicuramente apprezzabile, è piuttosto quella di approcciare il concept di base secondo una matrice umanistica.

Ecco quindi che la protagonista Tatyana Klimova, portata in vita con convinzione da Oksana Akinshina (già ottima protagonista di Lilja 4-ever), non è un’eroina pseudo-mitologica in stile Sigourney, ma un soggetto psicologico a sé stante, pur nella sua linearità caratteriale. È suo l’arco centrale del film: lo conferma una conclusione che, in un plot twist un po’ forzato, riporta la narrazione sui binari dello studio psicologico e palesa le intenzioni umanizzanti con cui Sputnik è stato realizzato. Non è una parabola completamente riuscita, complice una tendenza all’appiattimento del tono che alle lunghe fa incartare il film nella monotonia. Nel suo piccolo, però, Sputnik brilla di una personalità tutta sua, coerente com’è alla propria anima da B-Movie d’autore, se così lo si può definire. Non stiamo certo parlando di un film sensazionale, ma per i patiti del genere si tratta di un diversivo più che interessante su cui vale la pena di investire un paio d’ore prima della fine dell’estate.