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Songbird

2020
REGIA:
Adam Mason
CAST:
KJ Apa (Nico)
Sofia Carson (Sara)
Craig Robinson (capo di Nico)

Il nostro giudizio

Songbird è un film del 2020, diretto da Adam Mason.

Forse dovremmo essere clementi, in fondo il film è stato girato durante la pandemia, con tutti i problemi tecnico-logistici che la cosa può comportare, ma se il prossimo futuro del cinema sono Songbird e Lockdown all’Italiana, meglio attendere e sperare che il Covid 19 non diventi il 20, il 22 o il 23 di cui parla Mason. Il regista ha finito per sorprendere, di male in peggio, il suo pubblico. Partito a colpi di film estremi e da guerriglia, si è ridotto a fare il paggio di un grosso produttore. I suoi avvii sono crudeli ed esasperati, senza un guizzo autoriale rilevante ma incazzatissimi: tanta gratuità emoglobinica e una fascinazione occasionale per il torture porn. Poi si viene a sapere che questo giovane arrabbiato covava un profondo sentimento di rispetto per Michael Bay e che il suo sogno nel cassetto era di realizzare con lui una nuova versione di Romeo e Giulietta ricca di vitapixel. I due erano destinati a incontrarsi e quando è successo, è nato Songbird, titolo dalle implicazioni non proprio chiarissime. Nico (KJ Apa) è un bravo e volenteroso ragazzo che percorre in su e in giù la metropoli fantasma di Covid Country, facendo allegramente il corriere alla Kevin Bacon anni 80 di Quicksilver.  Lui può perché è immune, ok? I clienti che serve sono persone molto facoltose ma il ragazzo è un tipo semplice, gioca a basket sul cadavere del mondo e ogni tanto gioisce se gli danno una bella mancia. Le due sole cose che contino per lui sono la dieta proteica, la sua moto in garage e la bella principessina Sara Garcia (Sofia Carson). Imprigionata dal lockdown totalissimo che vige in città, Sara vive in un appartamento con una zia e dipende in tutto dal suo uccellino Nico, il quale la tiene allegra, le infonde speranza e le offre, nei limiti del possibile, una generosa compagnia.

I due consumano la passione a botte di collegamenti su FaceTime, sussurrandosi frasi accorate da dietro un portone. Purtroppo il Covid è come un gigantesco squalo in agguato, sempre pronto ad azzannare un altro boccone di felicità, e finisce per infilarsi nel pertugio di questo sodalizio tenero e speranzoso, colpendo non la bella Sara ma l’anziana zia. Epperò sono cazzi per tutte e due. Songbird vorrebbe mostrarci non solo le conseguenze sociali di una malattia pandemica ma anche il definitivo regimentarsi del sistema governativo americano. Chiunque contragga il virus viene subito segnalato da un sistema satellitare agli ispettori sanitari, i quali prelevano i malati con la forza militare e, come fossero pericolosi dissidenti di un totalitarismo immunizzante, li fanno sparire nelle Q Zone, specie di campi di concentramento da cui raramente qualcuno torna vivo. Un po’ alla Terzo Reich, i funzionari del regime sanitario hanno raggiunto certe nomine non per meriti politici e intellettuali ma grazie alla loro immunità: con Hitler erano immuni alla propria coscienza e qui invece al Covid 23. Per dire, Peter Stormare, nella parte dell’Evil One di turno, prima del virus era un lurido operaio dell’organizzazione sanitaria, ma grazie alla selezione naturale del virus e la sua immunità a esso, è asceso al ruolo di Capo del dipartimento. È sempre un topo di fogna ma scorrazza sulle carcasse dei miliardari morti e defeca sul costoso divano della loro casa. Purtroppo anche Stormare, che è il personaggio più interessante, risulta abbozzato in maniera frettolosa. Adam Mason si compiace di aver scritto la sceneggiatura in soli tre giorni. Sarebbe un’informazione da non rivelare a nessun costo ma lui se ne vanta. Sorprende il lascivo Bradley Whitford nella parte del corrotto Mr. Griffin, aitante uomo di mezza età divorato dal neoliberismo che non rinuncia a fottere puttane e sistema, rilasciando braccialetti per immuni fasulli a cifre altissime.

Il suo andazzo con la dipendenza sessuale permette alla matura moglie Demi Moore di rivivere le reali traversie scambiste tribolate con l’ex marito Ashton Kuscher, ma non aspettatevi dei grandi momenti alla Stanislavskij per lei. L’attrice è volenterosa ma in fase un po’ troppo discount. La parte meschina e crudele del mondo deve vedersela con i puri di cuore. Le due storie sentimentali collidono con gli interessi del potere e si trasformano in proiettili d’argento per i lupi là fuori. In mezzo a tanta desolazione, morte e squallore, l’amore vince e i morti schiattano, possibilmente in modo atroce. La retorica di Michael Bay sembra quasi una carezza definitiva per il pubblico già annichilito dalle serie streaming, quintali di glutine a portar via e DPCM natalizi alla Scrooge. Ciò che resta in coda al vertiginoso e luminosissimo Songbird, oltre il ricordo della gente che langue e si strugge dentro ai monitor, telecamere di sorveglianza piene di brutte facce, droni scatenati (e assassini) e un’app sul cellulare che fa il test del virus con il riconoscimento facciale, è un senso di infantilismo irritante per un modo di risolvere tutto a tarallucci e bacon tipico degli americani (ma non degli inglesi, caro Mason). I produttori americani sono sempre pronti a raccontarci la parte meno dolorosa e più allettante di ogni realtà. Per loro l’amore vince e per quanto non si scopi più, anche al tempo del Covid i buoni hanno comunque la meglio.