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Soft Matter

2018
Titolo Originale:
Soft Matter
REGIA:
Jim Hickcox
CAST:
Devyn Placide (Haircut)
Ruby Lee Dove II (Kish)
Hal Schneider (Dott. Grist)

Il nostro giudizio

Soft Matter è un film del 2018, diretto da Jim Hickcox.

Secondo un ipotetico calendario cinese alternativo, facente parte di un altrettanto ipotetico universo cinematografico parallelo, il 2018 potrebbe tranquillamente essere etichettato come l’Anno del Pesce, data la discreta quantità di prodotti audiovisivi a tema (più o meno) ittico sinora prodotti, partendo dall’apice assoluto, raggiunto dalla splendidamente mostruosa love story di La forma dell’acqua, per giungere, infine, sino ai più bassi e malconci gradini del podio con l’esilarante – e alquanto destabilizzante – esperienza di Soft Matter. Questo indecifrabile e, a suo modo, intrigante lungometraggio d’esordio, firmato in tutto e per tutto da Jim Hickcox, può considerarsi a pieno titolo uno dei pochi autentici esempi di trash post-post moderno, grazie alla leggerezza caciarona e irriverente attraverso la quale miscela, senza troppo costrutto né preoccupazioni di carattere qualitativo, la cialtroneria produttiva made in Asylum con le colorate psichedelie fumettistico-artigianali di casa Troma e un pizzico di sana demenzialità targata Kevin Smith, il tutto all’insegna di una vivida e nostalgica atmosfera eighties, evocata mediante un incipit da estetica VHS e un inconfondibile score a suon di sintetizzatori.

Fortemente debitore del glorioso immaginario di serie B e Z sul modello di The Toxic Avenger (1984) e Street Strash (1987), Soft Matter mette in scena la surreale vicenda di Haircut (Devyn Placide) e Kish (Ruby Lee Dove II), giovani graffitari di strada incautamente introdottisi all’interno di una clinica/laboratorio/prigione nella quale due grotteschi mad doctors (Hal Schneider e Mary Anzalone) generano e allevano mostruose creature ibride uomo-pesce, con l’intento di trovare l’elisir della vita eterna. L’incontro con un essere semi divino e alquanto avvezzo all’elettricità statica, causerà non pochi problemi alla sgangherata combriccola, costretta a dar fondo a tutte le proprie forze per arginare la ferina creatura.

Spendere tempo e parole riguardo alle più che evidenti analogie tematiche che legano Soft Matter a millanta e più titoli antecedenti e paralleli – tra cui la sopracitata pellicola di del Toro – sarebbe totalmente inutile e pericolosamente controproducente, soprattutto in un’epoca nella quale “creazione” e “plagio” condividono uno statuto praticamente sinonimico. Dunque, concentrandoci esclusivamente sulla competente formale, l’opera (decisamente) buffa di Hickcox non può che rivelarsi per quello che è: una cialtronesca horror/sci-fi – comedy di fattura inequivocabilmente amatoriale che mostra quantomeno la decenza di buttare tutto quanto in caciara e di non tentare minimamente di prendersi sul serio, concedendosi tutto lo spazio necessario per mettere in scena situazioni al limite dell’allucinatorio. Spicca una sequenza da Razzie Award che vede un melmoso mostro pescioso avvolto in sacchi della spazzatura intento in una performance Disco music. Particolarmente incline a un’estetica laida, marcia e ripugnante che lo avvicina moltissimo al ben più anziano ed eminente collega John Waters, Hickcox dipinge, seppur nell’imbarazzante mediocrità generale, atmosfere estremamente umide e viscerali, trastullandosi con mostruosità animatroniche di recupero degne della trippa animata da Mario Bava in Caltiki il mostro immortale (1959) e facendo un uso tutto sommato suggestivo della componente rumoristica. Impiegando un montaggio alquanto psichedelico e inserti grafici animati che richiamano gran parte dell’immaginario televisivo adolescenziale anni ’80 – con l’aggiunta di alcune sequenze in puppet animation inquietantemente vicine alla mitologia della prima stagione di Channel Zero –, Soft Matter richiede di essere fruito e goduto senza alcun tipo di aspettative che vadano oltre la propria dichiarata inconsistenza narrativa e un impianto estetico low budget che, tuttavia, porta con sé quell’irriverente freschezza pop-artigianale che solo la Farsa Producciones di Plaga Zombie è riuscita a farci apprezzare, almeno fino ad oggi. Una gran boiata, certo, ma una boiata con un proprio indiscusso stile!