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Sisu – L’immortale

2022
REGIA:
Jalmari Helander
CAST:
Jorma Tommila (Aatami Korpi)
Aksel Hennie (Bruno Helldorf
SS Obersturmführer)

Il nostro giudizio

Sisu – L’immortale è un film del 2022, diretto da Jalmari Helander.

Finnish Man Kills Nazis. In circostanze ben più losche e lasche, uno slogan del genere non sfigurerebbe affatto quale titolo di una sfiziosa follia targata Troma. Ma con buona pace del buon Lloyd Kaufman e del fido Michael Herz, stavolta tocca putroppo (o per fortuna) fare sul serio. Dannatamente sul serio. D’altronde, quando di mezzo c’è un (in)cazzutissimo Straniero senza nome, impegnato a falciare un manipolo di figliocci dello zio Adolf con il solo conforto dei propri cazzottoni e di qualche sporadica arma bianca, beh, la situazione non può farsi dannatamente seria. O quasi… Anche perché, lor signori concorderanno, Lui non è un tipo qualunque. Niente affatto. Lui è nientemeno che Sisu: l’Immortale, la cicatrice fatta uomo, il boogeyman della steppa lappone, autentico Nothman ghiotto tanto di insalata russa quanto di svasticati crauti, a patto ovviamente che siano ben conditi del sangue di ambo i fetentissimi invasori. Un uomo di parecchi fatti e pochissime parole, un po’ come il selvaggio Mads “One-Eye” Mikkelsen del refniano Valhalla Rising ma con la stessa letale potenza distruttiva di un John Wick rugginosamente attempato, con tanto di cagnolino e cocente lutto familiare al seguito. Un’autentica Bestia Umana, insomma, ritiratasi in eremitica solitudine ai limiti estremi della gelida frontiera nordica alla ricerca di qualche fortunosa pepita d’oro, proprio come l’eastwoodiano antieroe di un sudatissimo western leoniano.

Ma non è certo l’arido deserto messicano di fine Ottocento il terreno di caccia nel quale il nostro Sisu (Jorma Tomilla) si trova costretto a muoversi, bensì l’altrettanto brulla e impervia Lapponia finlandese nel pieno di un bellicoso 1944, con le micidiali truppe naziste intente a rastrellare in lungo e in largo la regione per ostacolare un’eventuale stretta di mano fra i coriacei padroni di casa e gli indomiti cosacchi dell’Armata Rossa. Ed è proprio uno di questi piccoli contingenti di sterminio, capitanato dall’Obersturmführer delle SS Bruno Helldorf (Aksel Hennie), ad avere la sfortuna di portare la sporca guerra, sino ad allora lontana lontana, dritta dritta in grembo al nostro imperturbabile Finlandese dagli occhi di ghiaccio, tentando inutilmente di accopparlo così da impossessarsi del suo prezioso e luccicante bottino. Ma poiché ci deve pur essere qualcosa di vero nel detto che ammonisce di non svegliare mai il can che dorme, basterà dunque davvero poco ai nostri incauti crucchi per accorgersi con che razza di Mastino hanno scelto di accapigliarsi, dando vita ad un inaspettato e iperviolento massacro dallo squisito retrogusto tarantiniano, tra cavalli e cavalieri deflagrati da mine antiuomo, interventi di chirurgia fai-da-te degni del miglior John Rambo, un fichissimo gruppetto di sanguigne prigioniere vendicative quanto le Mogli di Mad Max: Fury Road e, dulcis in fundo,  un adrenalinico quanto improbabile scontro finale ad alta quota da far impallidire persino lo scapestrato Tom Cruise di Mission: Impossibile – Rogue Nation.

Detta così parrebbe proprio la trama di un qualche ennesimo delirio neo-pulp e ultra citazionistico partorito dalla irrequieta fantasia del caro zio Quentin, probabilmente dopo essersi ben ingozzato di quei grassi war movie e di quegli altrettanto gustosi spaghetti western che da sempre hanno solleticato il suo vorace appetito cinefilo. Ma pur non essendo ovviamente degno di un tal confronto, va da sé che il buon Jalmari Helander, evidentemente tosto tanto quanto il suo letale protagonista, è riuscito a sfornare con questo folle e crudissimo Sisu un’opera egualmente tosta e indubbiamente geniale, a dir poco unica nel suo non-genere e coraggiosa come solo poche possono oggi vantare. Novanta minuti di viscerale azione, distribuiti in sei enfatici capitoli conditi da una copiosa dose di incattivita violenza grafica grondante epicità da ogni singolo poro di ogni singolo fotogramma, sbattuta in faccia all’ignaro spettatore con una tale potenza da impedirgli di capire dove stia realmente il confine che divide il serio dal faceto. Quel gran mattacchione di Helander sembra infatti parecchio indeciso su quanto prendersi o meno sul serio, imbastendo intere sequenze da febbricitante survival movie con tutti i sacri crismi del caso, per poi spararla  grossa nel giro di qualche millesimo di secondo, lasciando che le frattaglie tingano impunemente di rosso il bianco manto innevato come solo un Tommy Wirkola potrebbe e saprebbe fare. È logico, dunque, che, al pari del suo vendicativo e ferino protagonista, Sisu non sia certo un film da mezze misure, quanto piuttosto un gioiellino da prendere o lasciare. Con la consapevolezza ovviamente che, una volta preso, lo si dovrà ingollare fino in fondo, con tanto di freddo, lame, bombe e crani spappolati.