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Shirley

2020
REGIA:
Josephine Decker
CAST:
Elisabeth Moss (Shirley Jackson)
Logan Lerman (Fred Nemser)
Michael Stuhlbarg (Stanley Edgar Hyman)

Il nostro giudizio

Shirley è un film del 2020 diretto da Josephine Decker.

Nel giugno del 1948 Shirley Jackson ha 31 anni, un rapporto complicato con il marito, il terzo figlio in arrivo e tanto talento da vendere. È il mese in cui il New Yorker decide di pubblicare La lotteria, primo vero exploit della Jackson come scrittrice. Il responso del pubblico è feroce e immediato, il caso letterario servito: a più di 70 anni di distanza questo racconto leggendario è considerato, insieme a un altro celeberrimo titolo quale L’incubo di Hill House, l’opus magnum dell’autrice americana assunta oramai a regina del romanzo gotico. Proprio sulla pagina del New Yorker contenente The lottery si apre Shirley di Josephine Decker (tratto da un romanzo omonimo di Susan Scarf Merrell). Il focus non sull’autrice, ma su una delle sue lettrici: la giovane Rosie, che sta raggiungendo la residenza della Jackson per assistere lo sposo Fred mentre collabora con il marito della scrittrice, un professore del Bennington College presso cui Fred ha trovato lavoro come assistente. Due donne, due coppie, due storie che si intrecciano: sembra l’incipit perfetto per un melodramma con i fiocchi.

Messa da parte la premessa, però, diviene difficile assegnare a un ambito specifico lo sviluppo libero e semi-rapsodico di Shirley. Lo hanno descritto come uno “psicodramma” matrimoniale alcuni, a metà fra la biografia e il thriller. Visti i presupposti, “incubo letterario” sembrerebbe una definizione più accorta. Al suo cuore vi è una casa, un campo di battaglia infestato dagli spettri del matrimonio fallito e dalla maternità mancata. C’è l’ombra di Hill House sull’abitazione al centro del film della Decker: non della sua anima soprannaturale, ma piuttosto dei suoi personaggi irrisolti, delle psicologie distorte che animano il romanzo della Jackson. Nello stesso modo in cui le mura di quella magione infestata offrono “consolazione” ad Eleanor Vance, anche qui la casa è vissuta come un rifugio, un claustrofobico scoglio privato contro le insidie del pubblico. Shirley è, in fondo, la storia di un vampiro agorafobico, un’autrice reclusa (differente dalla Jackson della realtà) che usa la propria schiava-lettrice (Rosie) per recuperare dal mondo esterno l’ispirazione che la propria vita da prigioniera non le concede.

A questo gioco letterario-psicologico fra interni ed esterni, la Decker si dedica con tutta l’energica personalità di una regista emergente (all’attivo tre lungometraggi, fra cui l’ipnotico Madeline’s Madeline, e una lunga serie di corti) che ha intenzione di lasciare il segno. Il risultato è un’opera complessa, articolata, persino ridondante nella sua ricchezza di spunti e immagini, ma mai noiosa e sempre coerente con sé stessa. Shirley è anche e soprattutto la storia di due affrancamenti: uno autoriale, della Jackson come scrittrice affermata, e uno relazionale, quello di Rosie dal suo rapporto matrimoniale. Il plauso maggiore, in questo senso, bisogna farlo alla coppia di attrici principali: Odessa Young da una parte, una Rosie di grande personalità e dalla caparbietà spigolosa; Elisabeth Moss dall’altra, presenza scenica inquietante che comanda lo schermo con una spaventosa spontaneità. La carica ambigua apportata dalle due performance, forse il pregio maggiore del film, è anche il motivo per cui Shirley, al di là delle imprecisioni formali, funziona compiutamente come opera a sé. È l’ambiguità di due personaggi, due caratteri insoluti il cui incontro-scontro dona l’acqua della vita a una pellicola personale, originale, coinvolgente, una riflessione sul rapporto fra autore e lettore fra le più intriganti degli ultimi tempi.