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She Dies Tomorrow

2020
Titolo Originale:
She Dies Tomorrow
REGIA:
Amy Seimetz
CAST:
Kate Lyn Sheil (Amy)
Jane Adams (Jane)
Kentucker Audley (Craig)

Il nostro giudizio

She Dies Tomorrow è un film del 2020 diretto da Amy Seimetz.

Una mattina apri gli occhi, scendi dal letto, ti sciacqui il viso, fai colazione e, niente, sai che l’indomani dovrai schiattare, senza sé e senza ma. Bel modo di iniziare la giornata vero? E il bello è che non si tratta solo di una qualche vaga sensazione, no signore, ma di una stramaledetta fottutissima certezza, come le tasse e la visita della suocera di domenica.  Che fare allora? Titubante non resta che confrontarti con i pochi intimi che ti stanno attorno, ma, com’è logico che sia, vieni ovviamente preso per scemo. Peccato però che tutti coloro a cui ti sei confidato, uno dopo l’altro, iniziano inspiegabilmente a provare anch’essi il tuo stesso sacro terrore per il the day after, un ineluttabile e implacabile memento mori che, come il morbo della pazzia trasmesso oralmente in Pontypool e il sovrannaturale anatema venereo di It Follows, pare pronto diffondersi come una paranoica pandemia che nulla ha di che invidiare all’infettività di quella del Bug di Friedkin, preannunciando un domani che molto probabilmente non ci sarà. Questo in soldoni è ciò che accade alla povera Amy (Kate Lyn Shell) nel corso dell’oretta e mezza di She Dies Tomorrow, un ipnotico e ansiogeno viaggio cinematografico nei meandri di una storiella tanto assurda quanto accattivante, la quale, tra richiami alla malsana atmosfera kafkiana del Lanthimos de Il sacrificio del cervo sacro e una sana dose di depressione fatalista estratta a piene mani dal Melancholia di von Trier, si mostra capace di intrigare appieno seppur non chiarendo alla fine un beneamato cacchio di niente.

Messa in questi termini She Dies Tomorrow parrebbe nulla più che una versione indie di una bella puntata di The Twilight Zone confezionata appositamente per gli stucchevoli palati  del Sundance, ben condita con sprazzi di surrealismo visivo alla Stan Brakhage e con i soliti attori che dicono e fanno cose inspiegabili per tutto il tempo. Ma in realtà, sotto sotto, scrostando quella lieve seppur fastidiosa patina da opera “impegnata”, la seconda performance registica di Amy Seimetz si rivela un interessante e profondo studio sui meccanismi dell’animo umano dinnanzi a una sicura quanto improbabile consapevolezza circa la propria data di scadenza naturale. Poco importa da dove tale consapevolezza provenga e chi sia l’artefice dello strappo al velo di Maya. Illuminazione divina? Guasto organico? Oppure una semplice pizza consegnata a domicilio da un anonimo fattorino già portatore del letale morbo? Sta di fatto che, nel momento in cui ciascuno dei personaggi – sotto l’egida di improvvisi lampi di luce accompagnati dalle dolenti quanto azzeccatissime note (interrotte) del Requiem Lacrimosa di Mozart – comprende di aver compreso, sia che si tratti di un’apparentemente felice famigliola borghese, di una solitaria biologa o di un anonimo medico generico, tutti quanti sono costretti a confrontarsi con un improvviso quanto prematuro the end che li porterà ad assaporare i piccoli attimi di un’esistenza in procinto di veder calare per sempre il proprio polveroso sipario.

She Dies Tomorrowè la classica opera imperfetta che vede appunto nella propria fisiologica imperfezione il suo fondamentale centro di potere, addomesticando quanto più possibile le proprie naturali ambizioni di voler dire qualcosa di probabilmente troppo complesso da poter essere detto e filmato. Un’opera bizzarra, insomma, nella quale non ci si può e non ci deve stupire nell’assistere per gran parte del tempo agli ansiogeni e spesso buffi deliri di un gruppo di personaggi che paiono cavati fuori da una tragedia grottesca di Brecht o Ionesco, vedendo poi spuntar fuori negli ultimi cinque minuti, così d’emblée, Michelle Rodriguez e Olivia Tayor Dudley intente a discutere, con disarmante nonchalance, delle cose che mancheranno una volta passate all’altro mondo. E si, perché anche loro, venute in contatto con la mortifera “infezione”, hanno la piena sicurezza di lasciarci le penne una volta sorto il sole. O forse no? Niente da fare: anche a guardare e riguardare all’infinito il volutamente enigmatico epilogo non c’è verso di cavarne un ragno dal buco. Occorre solo spegnere, andare a letto e continuare a rimuginarci su mentre le braccia di Morfeo trasportano dolcemente nel mondo dei sogni. Sperando ovviamente di poter vedere, almeno noi, la fredda o calda luce del giorno dopo.