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Sharks of the Corn

2021
Titolo Originale:
Sharks of the Corn
REGIA:
Tim Ritter
CAST:
Shannon Stockin (sceriffo Scheider
Lorna)
Steve Guynn (Teddy Bo Lucas)

Il nostro giudizio

Sharks of the Corn è un film del 2021, diretto da Tim Ritter.

Fermi tutti! Qui la beneamata Asylum non c’entra una mazza. Dunque prima di tuffarvi incoscientemente alla ricerca di questo ennesimo folle e sconclusionato orrorino trash con pinne e mascelle acuminate, prestate giusto un momentino di attenzione. Ne va della vostra salute fisica e mentale di onorabili cinefili con ancora un minimo di dignità sul groppone. Si perché, a dispetto di ogni possibile apparenza, Sharks of the Corn è qualcosa da cui stare lontani come la peste bubbonica o il tanfo del rognone andato a male. Scordatevi le allegre goliardate volutamente baracconesche e furbamente mal renderizzate dei vari Sharknado e compagnia cantante, poiché qui il livello di scrittura, messa in scena e performance recitative rasentano impudentemente la più profonda e innominabile amatorialità, nel disperato tentativo di creare sin dal titolo un qualcosa di assolutamente fuori di cervello ma che, contro ogni più rosea aspettativa, si rivela per quello che è: una galattica e fetentissima boiata coi contro fiocchi. E state attenti a non farvi trarre in inganno dalla locandina perché, leggendo attentamente, tutte le fetecchie vengono al pettine!

Va detto comunque che prendere il ben noto immaginario rurale kinghiano e gettarlo in pasto agli aguzzi dentini dei nostri cari amichetti pinnati, in altri tempi e in altri lidi avrebbe forse potuto fare la fortuna di un’istituzione ribalda e maramalda come la Troma, potendo contare sul folle talento produttivo e registico di due pezzi da novanta come Kaufman & Herz. Ma purtroppo, supportato da quei quattro spicci racimolati dall’equivoca Twisted Illusion e messo nelle traballanti mani di quella ignobile vecchia conoscenza di Tim Ritter, Sharks of the Corn si rivela un prodottucolo veramente ignobile, sulla cui decenza filmica ci sarebbe da discutere a lungo. La trama, se così la si può anche solo chiamare, vede lo sceriffo Vera Scheider (l’attempata scream queen Shannon Stockin) intenta a far luce sulla misteriosa scomparsa della sorella gemella Lorna e di diverse altre persone fra i campi di grano della cittadina di Druid Hills – nomen omen – in quel del Kentucky. Si mormora persino di un misterioso culto in perpetua adorazione dei temibili Squali del Mais, esseri soprannaturali che nuotano tra gli steli sempre in cerca di nuove prede, il cui potere potrebbe consentire agli adepti di conquistare il mondo intero. Quando il serial killer e leader dell’esoterica confraternita Teddy Bo Lucas (Steve Guynn) viene arrestato con l’accusa di aver ammazzato parecchia gentaglia servendosi nientemeno che di una mandibola dei summenzionati pescioni, l’orrore e la devastazione esploderanno in tutta la loro indicibile potenza, fra agguati a tradimento e mille deliranti trovate degne della peggiore sbronza del secolo.

Robotici, posseduti, nazisti, radioattivi, volanti e con un numero sempre maggiore di teste. Ormai la dilagante shark mania cinematografica ci ha abituati ad accettare i nostri voraci cacciatori dei mari nelle più svariate pose e situazioni, senza più possibilità di provare quella sana curiosità delle origini. Curiosità che, nel caso di questo fetentissimo Sharks of the Corn, si esaurisce nel giro di un nanosecondo dal momento in cui il primo fotogramma fa la sua comparsa dinnanzi ai nostri occhi, rivelandoci tutta la povertà di mezzi, idee e intenti che stanno alla base di questa maldestra operazione. Un progetto decisamente discutibile il quale vorrebbe forse nelle intenzioni apparire irriverente come altri suoi consimili ma che nulla provoca se non un terribile e strisciante fastidio. Se infatti recenti incursioni tardive nel brulicante sharkverse come Sky Sharks (2020) hanno dimostrato di saper far tesoro del vincente e rodato Asylum touch che vuole un trash programmato a tavolino in una confezione che si mantenga sapientemente nei limiti della confortante serie Z, la delirante creatura di Ritter invece non può che collocarsi in piena zona retrocessione, venendone fuori come un’accozzaglia di umorismo fuori luogo e fuori tempo massimo dove nulla ha la possibilità di salvarsi da un annunciato naufragio. Talmente molesto ed eccessivo nella sua titanica ora e quarantacinque che a qualche coraggioso di bocca buona potrebbe persin piacere. E chi siamo noi per opinare? D’altronde come si dice, De gustibus non disputandum est, giusto? Però che gusti…