Featured Image

Seven in Heaven

2018
Titolo Originale:
Seven in Heaven
REGIA:
Chris Eigeman
CAST:
Travis Tope (Jude)
Haley Ramm (Jude)
Jacinda Barrett (Megan)

Il nostro giudizio

Seven in Heaven è un film del 2018, diretto da Chris Eigeman.

Teen movie amici cari! Giusto perché abbiate sentore dell’arietta che tira. Se poi di mezzo ci sono anche universi paralleli e il bislacco zampino distributivo di Netflix, allora avete ben di che sospettare l’ennesima amara sola. E in effetti come darvi torto? Dinnanzi a questo scialbissimo Seven in Heaven è persin spregio sprecare inutilmente energie vitali in arrabbiature, poiché, fin dalla prima rapida lettura del plot, la cazzatona coi controfiocchi può già essere ben intuita, anche senza il dono della veggenza o facendo sfoggio di presunte capacità di precognizione. Un nerd in piena regola (Travis Tope) con tutti i sacri stereotipati crismi del caso, durante un tipico goliardico crazy party scolastico a casa di un conoscente, rinviene un misterioso mazzo di carte nel quale sembra ravvisare nientemeno che l’immagine della propria madre. Nel pieno dell’alcolico e tunzettaro bordello generale, il giovane viene tirato in mezzo a uno strano gioco d’azzardo che prevede, quale penitenza, l’obbligo di passare sette minuti chiusi in un armadio. Dopo aver condiviso la sorte con l’amica June (Haley Ramm), una volta riaperta la porta, il giovinastro si ritrova nientemeno che in un universo parallelo, nel quale, oltre alla ricomparsa di un violentissimo genitore da tempo scomparso, egli dovrà fare i conti con un destino del tutto inatteso che lo vedrà protagonista di un’esistenza ben diversa da quella fino ad allora vissuta.

Chris Eigeman non è certamente Nolan e non deve per giunta avere ben chiaro in mente il principio basilare attorno a cui ruota l’ormai inflazionata teoria dei molti mondi. Detto ciò, le problematiche fondamentali che zavorrano irrimediabilmente Seven in Heaven, fintanto da mandarlo ben a picco sul fondo dell’inutilità assoluta, appaino essenzialmente tre: una messa in scena indegna persino della più becera seconda serata televisiva, una recitazione da capo estivo e, dulcis in fundo ma non meno importante, una storiella banale e inconcludente. Venire a sapere che i dollari impiegati per dare alla luce questo anonimo essere audiovisivo provengono nientemeno che dall’asse di ferro Universal-Blumhouse non solo fa accapponare la pelle, ma ci lascia parecchio basiti nel constatare, stavolta, il totale fallimento del solitamente acutissimo fiuto di zio Jason, quest’ultimo probabilmente solleticato dalle potenzialità di un ennesimo viaggetto filmico fra realtà alternative. Sinceramente, dopo aver superato i novantaquattro minuti di durata, a caldo la sensazione è quella di aver assistito più che altro a un saggio da scuola di cinema imbastito da un volenteroso ma acerbissimo studentello che, con gli occhi e il cervello inzuppati di millanta suggestioni, si è trovato infine a non sapere come dar forma compiuta alla propria creatura. E sorvoliamo pure sull’ignobile espediente – decisamente più fantasy che sci-fi – dell’armadio quale portale a un’altra dimensione, in puro stile Narnia!

Tenendo conto che, almeno nella terza e ultima parte, il film tenta di abbandonare la sottile venatura adolescenziale – a tratti penosamente demenziale – per cercare di imbastire un discorso decisamente più complesso e suggestivo, ciò che davvero non si riesce a digerire fino in fondo è proprio l’assoluta mancanza di appeal dell’espediente narrativo fondamentale, vertiginosamente rinvigorito solo negli ultimi quindici minutini con la speranza di dare un senso a quanto visto fino a quel momento. È persin arduo tentare di esporre fino in fondo tutte le ragioni del fallimento alla base di Seven in Heaven, poiché si assiste qui a uno di quei rarissimi casi in cui l’unica via per poter comprendere appieno le motivazioni che spingono a sconsigliarne la visione è, paradosso dei paradossi, proprio la visione stessa. Forse, in un universo parallelo, Eigeman e la sua creatura avrebbero potuto ricevere migliori valorizzazioni e riconoscimenti. Ma poiché, come afferma quel capoccia di Schopenhauer, ognuno è mondo di sé stesso, vivendo noi in questa specifica realtà, non possiamo che gridare a pieni polmoni all’ennesima fantozziana cagatona pazzesca.