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Saint-Narcisse

2020
REGIA:
Bruce LaBruce
CAST:
Félix-Antoine Duval (gemelli Dominic e Daniel)
Tania Kontoyanni (madre)
Alexandra Petrachuk (Irene)

Il nostro giudizio

Saint-Narcisse è un film del 2020, diretto da Bruce LaBruce.

Dominic è un orfano ventenne, che è stato cresciuto dalla nonna ed è ossessionato dalla sua bellezza. Prima di morire, la nonna gli comunica la verità sulla sua famiglia: sua madre non è morta di parto, ma abita nei boschi vicino un remoto paesino del Québec insieme alla figlia della sua defunta amante. Dominic incontra la mamma e diventa parte della famiglia, ma le sorprese non sono finite, perché a poca distanza dalla casa si trova un convento di monaci, dove vive Daniel, il suo fratello gemello. Quando Dominic e Daniel si incontrano, scatta il colpo di fulmine. Del resto, cosa c’è di più bello che far l’amore col gemello? Peccato che quest’ultimo sia anche la vittima prediletta degli abusi del perverso priore del convento.

Più che la forma o il contenuto poté la provocazione: grazie a questa formula, il canadese Bruce LaBruce si è guadagnato negli anni la devozione di critici e programmatori di festival (queer e non). LaBruce alterna film anarco-punk (L.A. Zombie,The Misandrists) a opere più riflessive come Gerontophilia e questo Saint-Narcisse, ma il modus operandi rimane immutabile: prendere un argomento tabù (l’incesto), aggiungere qualche elemento shock (la pedofilia clericale), un po’di bric à brac del cinema queer che fu, e godersi il risultato della provocazione; ma si può parlare di provocazione, quando ci si rivolge quasi esclusivamente a una nicchia di pubblico in linea col proprio pensiero? Da qui la mia impressione (opinabilissima) che il Nostro sia solo un cineasta fin troppo furbetto ed autoreferenziale, ma siccome fa incetta di premi, può essere che non abbia capito una mazza.

Di certo, Saint-Narcisse è finora l’opera più accessibile della sua sterminata carriera, e l’idea di fondo è anche stuzzicante, ma recitazione e dialoghi sono ai (soliti) livelli canini e, nonostante l’utilizzo di zoom, jump-cut e tonalità cromatiche slavate, la cifra stilistica è sempre quella, sciatta e raccogliticcia, di un porno: per non parlare delle scene girate in un convento che pare uscito da una produzione Full Moon. Amen.