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Sabrina

2018
Titolo Originale:
Sabrina
REGIA:
Rocky Soraya
CAST:
Luna Maya (Maira)
Christian Sugiono (Aiden)
Sara Wijayanto (Laras)

Il nostro giudizio

Sabrina è un film del 2018, diretto da Rocky Soraya.
L’indonesiano Rocky Soraya è autore specializzato nell’horror soprannaturale a base di bambolette e spiriti cattivi (The Doll, The Doll II, Il terzo occhio) e il suo Sabrina è un’altra versione del consueto menù fatto di giocattoli, spettri e possessioni. Dovremmo parlare di demoniaco, a dire il vero, ma qui il contesto culturale e religioso è diverso, di conseguenza non c’è, come da noi in occidente, la netta separazione tra diavoli e spettri. In Indonesia, il demone è uno spettro, uno spirito cattivo che possiede i vivi. Nella fattispecie qui si parla di un certo Baghiah, figlio del demone che domina il regno dei morti. Lui è il responsabile di tutto il parapiglia. La differenza con Pazuzu, però, è che non mira a distruggere un corpo innocente come manovra dimostrativa atta a diminuire il numero di fedeli sulla terra. Il Dio avversario c’è e viene impiegato contro Baghiah per mandarlo via, ma il demone/spirito è solo interessato a vivere nel corpo di un vivo; forse per noia, per dispetto, per semplice invidia. Non si sa.
E non è l’unica cosa poco chiara nella trama di Sabrina, almeno per buona parte del film. Alla fine tutto viene spiegato e  con un twist discreto che però non basta a scacciare l’impressione che le quasi due ore di lotta tra bene e male in formato Gangnam Style siano state sostanzialmente sprecate. E quando ci si annoia si finisce per porsi domande oziose: perché questo recente accanimento contro il nome Sabrina? Da una parte all’altra del globo, quando si vuole realizzare qualche cosa di creativamente volto al mondo esoterico ecco che spunta questo nome. Sabrina è di derivazione celtica e vuol dire «affilata, pungente». Praticamente una stronza e può anche andar bene per una strega o una puttana in carriera, figurarsi una bambola dall’aria sinistra. O meglio, non si tratta semplicemente di un pupazzo inquietante. La Sabrina del film di Rocky Soraya è il Mike Tyson delle bambole inquietanti. Roba che al confronto Momo e Annabelle sembrano Coccolino e La Pimpa. È quasi caricaturale. Come si può accostare quella roba da incubi e traumi assicurati a un’innocente bambina? Basta guardarla da dieci chilometri su un treno in corsa in una giornata di pioggia monsonica per capire che quella tatoccia è il male!
A parte l’aspetto quasi caricaturale di «Sabri», il film di Soraya è un pasticciaccio precotto zeppo di tutti gli ingredienti più disparati gettati a man piena in un calderone enorme, dalla dispensa del modern horror movie americano. C’è The Exorcism of Who You Want, Spiritika e poi Annabelle, La casa, L’alieno di Jack Sholder, un qualsiasi film prodotto da Guillermo del Toro con i fantasmi e Poltergeist 5, che non esiste ma lo inseriamo per farvi capire la «dozzineria» del riciclo spinto operata dal regista indonesiano. Tutte queste carabattole precotte e riscaldate innumerevoli volte già da noi occidentali, e ne funzionasse una in Sabrina. La cosa più inquietante è l’App che rivela la presenza degli spiriti tanto di moda tra i ragazzini singaporiani, lasciati soli con i loro tablet e gli spettri in giro per casa; meglio, sarebbe inquietante se non facesse ridere. Anche le cose più di sapore «culturale» indonesiano le conosciamo già da quasi vent’anni di Ringu e The Grudge. Spettri che si avvicinano minacciosi nel monitor di una telecamera a circuito chiuso, mostri nero-criniti che camminano come ragni sul pavimento, o che strisciano scompostamente sul pavimento, cose così.