
Risen
2021
Risen è un film del 2021, diretto da Eddie Arya.
C’è una forte tendenza nella fantascienza cinematografica a ricondurre i macroavvenimenti storici, dalla portata cosmica, all’intimismo del singolo, alla zona confort del quotidiano, legando le vicende di un essere umano alle incommensurabili dinamiche dell’universo. È un approccio antropocentrico che attraversa diverse discipline, dalla religione all’astrologia, ma al cinema diventa una pratica irrinunciabile persino per i più grandi autori (Kubrick e Nolan, per buttarne un paio). Ora, il terzo film del regista e sceneggiatore australiano Eddie Arya sembra quasi creare uno scenario da La guerra dei mondi in cui rinuncia all’antropocentrismo. La vicenda narrata inizia nel calore di un focolare domestico, la cui quotidianità viene interrotta da un’inspiegabile esplosione. La famiglia sopravvive, ma in pochissimo tempo muore malamente a causa di qualcosa diffusasi nell’aria. È l’inizio di un’invasione aliena, senza combattimenti e navicelle spaziali, senza una guerra sul campo, silenziosa, quasi noncurante della presenza della razza umana. Il colonnello Emmerich (un riferimento all’autore di Independence Day?) recluta un paio di biologi, tra cui la problematica Lauren Stone (l’esordiente Nicole Schalmo). Sul luogo dell’impatto sta crescendo una pianta che sembra influire sempre di più sull’atmosfera circostante: l’aria nei pressi diventa nociva per l’uomo e chiunque sia morto nella zona ritorna in vita come uno zombi, controllato telepaticamente dalla forma aliena. Il peggio deve però ancora venire, perché questa pianta sta crescendo in tutto il mondo.
Se nel La guerra dei mondi l’incapacità dell’uomo di poter fronteggiare la minaccia aliena veniva compensata dall’intervento divino, e quindi da un ottimismo di matrice religiosa, Risen tenta la strada del nichilismo, dell’assenza del divino. L’idea colpisce forte nel momento in cui la suggestione si mantiene viva con la crescita della pianta, l’iconografia dei ritornanti che acquistano occhi azzurri e sembrano prefigurare l’avvento non solo di una nuova razza dominante sulla Terra, ma anche di un periodo di annientamento dell’umanità così come la conosciamo. Ad Arya però sfugge a un tratto la mano e non riesce a mantenere le buone promesse apocalittiche fino alla fine. Cede anche lui, infatti, all’ennesimo conflitto psicologico della protagonista, che è stata parte attiva dell’invasione senza saperlo, e soprattutto non riesce a confezionare un prodotto all’altezza delle proprie ambizioni.
La storia parte a razzo con il mistero del meteorite e i suoi effetti, ma man mano che ci si inoltra nell’avvenente apocalisse si sgonfia sempre di più l’interesse dello spettatore che si trova davanti interminabili sequenze di persone che guardano off screen o dialoghi implausibili. Il personaggio di Schalmo, che vorrebbe essere sulla carta profondamente drammatico, diventa da subito, di pari passo con il ritmo del film, scialbo e irritante nella sua unica espressione pensierosa, impedendo di fatto qualunque tipo di empatia nei suoi confronti. Quando si arriva al colpo di scena finale, in realtà alquanto inutile, l’interesse si è perso già da tempo e non aiutano neanche gli effetti speciali mal gestiti e i compositing amatoriali. È un peccato, perché prodotti del genere, che sembrano provenire direttamente da un’altra epoca del cinema, se ne vedono sempre di meno e ce ne sarebbe sempre più bisogno in un periodo in cui a prevalere è il facile reboot.