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Richard Jewell

2019
REGIA:
Clint Eastwood
CAST:
Paul Walter Hauser (Richard Jewell)
Sam Rockwell (Watson Bryant)
Kathy Bates (Barbara "Bobi" Jewell)

Il nostro giudizio

Richard Jewell è un film del 2020, diretto da Clint Eastwood.

Il 27 Luglio 1996 le Olimpiadi di Atlanta vennero funestate da un attentato terroristico: una bomba esplode al Centennial Olympic Park ferendo centoundici persone e uccidendone due. L’attentatore è Eric Robert Rudolph, ultra cattolico appartenente a “Christian Identity”, un “Soldato di Dio” xenofobo, omofobo e tante altre belle cose che finiscono con “fobo”. Tuttavia non siamo a Mogadiscio bensì ad Atlanta, il “posto più sicuro del mondo” secondo il capo della sicurezza olimpica, dove sotto il tappeto si cercano di nascondere i fan degli attentati a Oklahoma City e il Ku Klux Klan, e dove qualcuno era già stato scoperto mesi prima a fabbricare bombe simili a quella esplosa. Rudolph verrà indicato come principale sospetto solo nel 1998. Quello che successe nei due anni successivi all’attentato è uno dei più grandi fallimenti dell’FBI: venne accusato di tutto Richard Jewell, guardia privata del parco olimpico che per primo si preoccupò dello zaino abbandonato contente l’ordigno. Queste sono le premesse del nuovo film di Clint Eastwood, Richard Jewell.

Da un articolo di Marie Brenner del ’97 intitolato American Nightmare: The Ballad of Richard Jewell, Eastwood torna a ritrarre le ambiguità del patriottismo statunitense, le ombre sotto la stars and stripes in un chiaroscuro che ancora una volta sorprende, viste le note idee politiche del cineasta di San Francisco. O forse non dovrebbe sorprendere? Richard Jewell è la storia vera dell’eroe di Atlanta, l’uomo grazie al quale le vittime di una potenziale strage si sono drasticamente ridotte. Ma è anche la storia vera di come lo storytelling, le etichette, i ruoli che ci vengono a volte disegnati addosso siano il frutto marcio di un mondo brutale, pigro e sensazionalistico. E così come Eastwood ha dovuto subire la claustrofobica semplificazione delle sue idee da parte dei media, così Richard è finito nel tritacarne del giornalismo arrivista e di un FBI ottuso. Tutto questo, dopo Sully, Ore 15:17 – Attacco al treno e Il corriere, diviene naturale prosecuzione di un discorso che il regista californiano, a novant’anni, sente particolarmente: l’America può essere idealista, sempliciotta, persino goffa o ingenua, ma la sua bontà deve prevalere contro quel “potere che può trasformare in mostri”.

Valorizzato da interpretazioni eleganti, con un bravissimo Paul Walter Hauser e una splendida Kathy Bates, il film si prende alcune libertà rispetto ai fatti accaduti, ma lo fa sempre nel nome di un cinema civile che deve far riflettere. Nonostante la regia di Eastwood sia a tratti altalenante, infatti, le oltre due ore di durata vengono colmate da umanità, da quell’America idealista citata in precedenza e incarnata da un Jewell che diviene simbolo e ideale. Un uomo che tenta di restare nella luce, lambito dall’oscurità di una tecnocrazia fallace e impietosa. E qui, visivamente, la regia si fa metafora in quelle scene dove ciò ch’è tenuemente illuminato al centro si ritrova circondato dal buio. Richard Jewell è un film di maschere, di archetipi e di stereotipi utilizzati con consapevolezza, nella volontà di arrivare a un punto fisso, fermo, forte: in un mondo dove imperano i mass media, dove chi dovrebbe essere dalla parte del popolo desidera solo un posto al sole, la verità non è più un valore assoluto. E basta rientrare nello stereotipo condannato al momento perché la tua vita si trasformi in un inferno. Senza retorica, per i principi morali e per la redenzione, Clint Eastwood docet.