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Resurrected

2023
REGIA:
Egor Baranov
CAST:
Dave Davis (Stanley Martin)
Carolyn Alise (Anna)

Il nostro giudizio

Resurrected è un film del 2023, diretto da Egor Baranov.

Esistono diversi modi per immaginare il nostro futuro e, spoiler allert, il più delle volte non sono certo rose e fiori. Stavolta però, è proprio il caso di dirlo, quel gran mattacchione di Egor Baranov ha scelto di spararla davvero grossa, confezionando una distopia che, pur essendo più che accettabile per una succosa puntata di Black Mirror, fatica oggettivamente non poco a tener botta sulla lunga distanza. Come reagireste, infatti, se vi dicessimo che, in un domani che è già oggi, la Chiesa Cattolica è riuscita a sviluppare uno straordinario quanto oscuro procedimento per rendere finalmente concreto il celeberrimo miracolo della resurrezione, chiedendo in cambio solamente l’incondizionata conversione al credo del buon Gesù e il libero accesso ai propri segretucci digitali? Beh, come minimo vorreste sincerarvi di cosa diamine ci siamo fumati, magari affrettandovi pure a reperire nome e indirizzo del nostro spacciatore di fiducia. Toccherà tuttavia iniziare a mettervi il cuore e l’anima in pace fratelli cari, poiché è proprio questa, in gran soldoni, la folle premessa alla base di Resurrected, curioso thriller fantascientifico voluto e benedetto da sua russofona Eminenza Timur Bekmambetov, deciso più che mai a proseguire la sua proselitistica missione di portare il sacro verbo dell’estetica screenview in ogni cinematografico cantone disposto ad accoglierlo.

Ed è proprio tra i quattro angusti confini di un dekstop, tra scolling, click, pop-up e una bulimia di picture-in-picture, che si combatte la durissima battaglia di fede e di vita di Stanley Martin (Dave Davis), ex – ma non proprio del tutto ex – alcolista dalla condotta tutt’altro che virtuosa, padre spirituale (e virtuale) di una nutrita comunità di  followers dediti alla preghiera in Realtà Aumentata e, come se non bastasse, pure padre biologico del giovane Nicholas (Beau Boyd), primo essere umano a ritornare dal regno dei morti grazie alla summenzionata chiacchieratissima tecnologia custodita nelle viscere del Vaticano. Diviso fra l’ancora bruciante senso di colpa per aver causato, più o meno accidentalmente, la temporanea dipartita del benedetto figlioletto e le quotidiane sessioni confessionali in diretta Zoom con un gruppetto di redivivi più che mai desiderosi di reinserirsi nella terrena vitaccia, il nostro tutt’altro che integerrimo pastore si ritroverà catapultato in un vero e proprio biblico calvario nel momento in cui un suo parrocchiano da poco ridestato si renderà responsabile di un’efferata quanto immotivata carneficina. Un fenomeno tutt’altro che isolato e che farebbe sospettare una qualche sordida verità accuratamente insabbiata all’ombra del temibile cupolone di San Pietro; una verità così scioccante da spingere l’indomito Padre Martin e la tosta hacker Rat (Erika Chase) a portare alla luce quello che pare a tutti gli effetti un complotto in piena regola per limitare il più possibile gli effetti indesiderati di questo miracoloso e temibile Lazarus Effect. Poiché, così come il vecchio Craven a suo tempo già ci insegnava, l’innaturale risveglio da quell’eterno Sonno di ghiaccio che è la morte non può portare mai con sé nulla di realmente buono.

Non c’è dubbio che, nonostante il discreto mestiere e tutte le più oneste intenzioni profuse dal caro Baranov, un progettino come Resurrected avrebbe forse potuto aver miglior fortuna se affidato alle mani decisamente più esperte e talentuose di un Andrew Niccol o, perché no, di un Neil Blomkamp, gli unici forse realmente capaci di dare un minimo di spessore a una storia ricca di spunti potenzialmente gustosi ma purtroppo schiacciati al di sotto di un impianto screenlife stavolta più che mai pretestuoso e del tutto ininfluente ai reali fini dello storytelling. Più che le solite adrenaliniche spippolate da una casella di posta elettronica agli split screen di interminabili video-call, sarebbe forse risultato ben più interessante, infatti, sviscerare in profondità le spinose implicazioni socio-culturali innescate da una tecnologia tanto rivoluzionaria quanto eticamente discutibile, senza ridurre il tutto a quattro sciamannati simpatizzati pro-vita (anzi, pro-morte) intenti a sbraitare slogan in diretta streaming o a un manipolo di podcaster pericolosamente vicini al cospirazionismo da discount brandizzato Adam Kadmon. Ma purtroppo, eccezion fatta che per una detection non propriamente da buttare e l’intuizione di mantenere il giusto alone di mistero attorno alla reale natura del rinverdirico incriminato processo, il tutto si riduce a un semplice e oggettivamente insipido atto di fede nei confronti di Baranov e della sua filmica creatura senza troppa infamia ma nemmeno poi così tanta lode. Una fede che, se ben o mal riposta, solo Dio e il pubblico sapranno dire.