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Repo men

2010
Titolo Originale:
Repo men
REGIA:
Michael Sapochnik
CAST:
Liev Schreiber
Jude Law
Forest Whitaker

Il nostro giudizio

Thriller, azione, fantascienza, organi meccanici e Jude Law che si squarta la carne lì lì sull’orlo di una scopata.

Blade Runner è stato la peggiore maledizione che potesse venire scagliata contro un certo cinema del futuribile. No, non è vero. Di molto peggio ci sono Lynch e l’idea del cinema del corpo, sul corpo, che entra nel corpo, che esplora il corpo, che esce dal corpo – come era avanti Benigni quando cantava il suo inno del corpo sciolto – e che, come degni satelliti, su corona di tutta la serie delle idiozie che ruotano intorno al concetto di carne: nuova carne, vecchia carne, carne in mutazione… Un cinema che ha pasturato e continua a pasturare centinaia di migliaia di milioni di scritti senza senso, inutili, terribilmente noiosi. Repo Men potrebbe essere un perfetto candidato a piazzarsi nella scia di quegli oggetti cinematografici buoni per tutte le stagioni, quei film dei quali si è legittimati a pensare e a scrivere tutto e il contrario di tutto e si avrebbe comunque sempre ragione o sempre torto, che è lo stesso. Nella sequenza finale, apice di ogni possibile masturbazione esegetica, i due protagonisti, un uomo e una donna, devono disattivare il controllo esterno (una specie di radar che permette la loro individuazione) su alcuni organi sintetici che hanno trapiantati dentro di sé; un cuore lui, un ginocchio e altra robetta lei.

Per compiere l’operazione si squarciano la carne (ahia…) e vi inseriscono, scavando per le viscere, tra i nervi, le ossa, i tendini e i muscoli, una specie di sonda. E lo fanno stando lì lì sull’orlo della scopata, a fior di labbra, in una lunga sequenza di totale gratuità che è elettrizzante se la prendiamo per quel che è, cioè una sequenza di totale gratuità, che non deve pagare obolo o pedaggio a niente e nessuno. Ma che diventa sinistra, nella misura in cui si espone al rischio di diventare oggetto e cavia di tremende sperequazioni e vivisezioni esegetiche.

La bontà di Repo Man, ossia la sua caratteristica edule, si manifesta nella seconda parte (una volta avremmo detto nel secondo tempo, che oggi non esiste più): quando il cacciatore si fa cacciato e il killer che strappa gli organi a quelli che non hanno potuto pagarli, si ritrova senza nemmeno sapere come con un nuovo cuore in petto, che dovrà e non potrà, a sua volta, pagare. Le scene di violenza innestano una marcia superiore al normale, a quel punto, attingono alla sfera superiore del sanguinario e, soprattutto quando saltano fuori armi bianche o oggetti contundenti di ogni tipo (come nel corso di un assalto in un corridoio con uno contro tutti) vanno oltre la bagarre di prammatica. Di buono non c’è solo questo anche se questo è il di più.
C’è pure la scenografia, che pur procedendo dalla facilissima equazione che i derelitti, quelli senza soldi per saldare i debiti e quindi a rischio di morte, vivano ai margini delle città dentro edifici in disfacimento, punta e vince sulla fascinazione del rudere, dell’abbandono. Per il resto, già mezzora dopo il termine della visione lo si confonde con Daybreakers e con le decine di altri film tutti simili, con la fotografia azzurrognola e lo stronzone di turno, capo di una multinazionale o giù di lì, che non solo sembra ma è lo stesso identico character, in questo caso, Liev Schrieber (il papà del diavolo nel remake di The Omen),in quello, Sam Neill.  Il Repo Men che tradotto sarebbe Il recuperatore è Jude Law, l’eroe, quella con la quale scopa squartandosi è Alice Braga (vista in I Am Legend e tra poco nel remake di Predator). Il regista è un anonimo veneziano che ha fatto solo corti, Michael Sapochnik.