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Rapporto di un regista su alcune giovani attrici

2008
REGIA:
Roger A. Fratter
CAST:
Roger A. Fratter (Antonio Speller)
Inga Sempel (Paola)
Roberta Sparta (Tosca)

Il nostro giudizio

Rapporto di un regista su alcune giovani attrici è un film del 2008, diretto da Roger A. Fratter.

Fin dal titolo il film riecheggia pellicole di genere come Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, Rivelazioni di uno psichiatra sul mondo perverso del sesso, Rivelazioni di un’evasa da un carcere femminile. Tutte “rivelazioni” quelle, d’accordo, e anche pesantemente allusive, tuttavia Fratter credo conosca e bene quel tipo di pellicole e si sarà certamente divertito a citarle, seppur in modo tangente e subliminale. Un po’ tutto il suo film del resto pare un gioco di metacinema. Sono tantissime le scene in cui si vedono locandine e manifesti cinematografici; tutte quelle ambientate negli uffici della rivista di cinema diretta da Paola (Inga Sempel), oltre al consueto Nocturno in bella vista sui tavolini (e relativi cameo redazionali). Poi c’è l’abbigliamento da cowboy che Antonio estrae dall’armadio, o i suoi cortometraggi didattici nei quali le scazzottate hanno i suoni tipici dei film dei gringos e degli spaghetti western. Fratter cita anche se stesso, mettendo tra le altre locandine pure le sue. E del resto lo stesso Antonio è un regista, sebbene in crisi creativa. Dopo una prima parte di carriera come “autore” di film impegnati adesso Antonio vuole provare la via del trash, vuole sperimentarsi ad un livello più commerciale, anche e soprattutto per dimostrare al pubblico (e ai critici) che la sua versatilità non teme di misurarsi con quel cinema che dice di aver sempre disprezzato, quello che non serve unicamente ad andare a qualche festival d’essai bensì a riempire le sale (o le videoteche) e a strappare applausi e consensi a scena aperta. E qui Fratter gioca come al gatto col topo; già perché lui nella realtà va facendo il percorso opposto e contrario. Nato come estimatore e profondo conoscitore del genere western, amante del cinema bis e “stracult” dei decenni passati, cineasta indipendente dedito massicciamente al filone thriller-horror tra il 1998 ed il 2007 (nonché apertamente cimentatosi con il trash in occasione di Abraxas, 2001), proprio con Rapporto di un regista su alcune giovani attrici si cimenta con “altro”, non dirigendo un film propriamente e chirurgicamente “d’autore” (perlomeno non nell’accezione più snobistica e pretenziosa del termine), ma certo virando su tematiche di maggior analisi e introspezione psicologica e sentimentale, con un occhio attento alle dinamiche relazionali tra i personaggi, tra il sesso maschile e quello femminile, tra diversi ambienti di provenienza.

E così la crisi di Antonio nel film riflette, magari un po’ ludicamente (ridendosela sotto i baffi), la metamorfosi di Fratter nella realtà. I lavori successivi a Rapporto saranno infatti di estrazione assai distante dall’horror, ovvero commedie, drammi e un po’ di erotismo (quest’ultimo sempre trasversale alle sue produzioni). Antonio è un fortino assediato da tre donne, la sua ex moglie Paola, interessata a usare la sua professionalità per un’iniziativa editoriale del giornale che lei dirige, la sua amica sceneggiatrice Tosca (Roberta Spartà), che vuole far dirigere il suo film ad Antonio, la figlia di una sua antica fiamma Mara (Jill Campbell), procace lolitina intenzionata a ricevere qualche aiutino per sfondare nel mondo del cinema. Come se non bastasse, Antonio ha appena scoperto il tradimento (omosessuale) di sua moglie, sorpresa a letto sul più bello; altro deja-vu che trova sponda nel film, come in un gioco di scatole cinesi e incessanti rimandi, quando Tosca gli propone di inserire un elemento di amore omosessuale nella sceneggiatura che Fratter dovrebbe dirigere. Ogni tre giorni Fratter incontra una studentessa di cinema a cui tiene lezioni private, e spesso e volentieri visiona provini di attrici tra le quali non mancano quelle “disposte a tutto” pur di avere successo. Antonio insomma capisce rapidamente che chiunque vuole qualcosa da lui, come dice Paola “non si fa mai niente per niente”. E Antonio non sembra attrezzatissimo per respingere tutte le avances, a qualcuna cede, a qualcuna rischia di cedere, a qualcuna resiste stoicamente. Tuttavia tutte queste “crisi” esistenziali turbano il suo lavoro, rimettendolo continuamente in discussione; prova ne sia che per più volte Antonio torna sopra il soggetto e il genere del film che vuole produrre.

Dapprima pensa di mutuare alcuni suoi servizi documentaristici in un lungometraggio, poi si orienta sul western, quindi sull’erotico, infine approda al porno conclamato (tre punti esclamativi), quasi come rivalsa per quello che gli sta accadendo intorno. Degna conclusione della storia, il cedimento anche alla studentessa, l’unica con la quale per tutto il film aveva coltivato un rapporto tutto sommato formale e professionale. Come al solito, si rivedono facce note del cinema fratteriano, in una girandola di attori che si avvicendano davanti alla sua macchina da presa. Peccato per il doppiaggio, mi ero abituato alla voce naturale di Fratter, mentre qui le viene sovrapposta una stentorea timbrica da maschio alfa che non mi aspettavo. Rimangono negli occhi le tre co-protagoniste femminili, bella e seducente la Sempel, generosa e burrosa la Spartà, peperina e un po’ eccessiva (come richiedeva il personaggio) la Campbell. Non sempre ottimale la costruzione delle luci o dell’inquadratura, ma è chiaro che i potenti mezzi finanziari di Hollywood non presiedevano alla realizzazione di un film indipendente come questo. Fratter bilancia come può, con qualche invenzione estemporanea di “video arte” (lo dice pure Antonio nel film), ovvero qualche elemento di raccordo tra una scena e l’altra, penso ad esempio al “rumore” bluastro che inframezza alcuni fotogrammi, oppure agli spari in chiave “western” che sottolineano delle scene “tematiche” e simboliche sul finale. Momenti di rottura della “sospensione dell’incredulità” che dovrebbero scuotere lo spettatore, facendolo transitare ripetutamente dalla narrazione (fiction) al documentario (realtà) e viceversa, come ad esempio i provini delle attrici, che sembrano quasi veri provini insertati nel film, in stile appunto “cronachistico”.

Per approfondimenti: www.cineraglio.it