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Pride and Prejudice and Zombies

2016
Titolo Originale:
PPZ - Pride and Prejudice and Zombies
REGIA:
Burr Steers
CAST:
Lily James
Lena Headey
Sam Riley

Il nostro giudizio

Pride and Prejudice and Zombies è un film del 2016 di Burr Steers.

Sia chiaro che non ho mai letto un rigo di Jane Austen e tantomeno mi sarebbe potuto passare per il capo di prendere e leggere Orgoglio e pregiudizio e zombi, il romanzo con cui Seth Grahame-Smith, scrittore 40enne di Rockville Centre, Stato di New York, ha fatto i soldi mettendo insieme la Austen e i morti viventi: la vita è troppo breve, il tempo prezioso e bisogna selezionare le letture. Come i film. Premessa quindi la faccia tosta del sottoscritto, devo invece dire che le poco meno di due ore di Pride, Prejudice and Zombies di Burr Steers ricavato dall’opera di Grahame-Smith valgono la pena di essere spese – nel buio di una sala o dove diavolo preferite. Perché alla base c’è qualcosa di molto simile alla filosofia che governava i filmetti bis di una volta che tanto amiamo, specie quelli italiani, quelli più deliziosamente sciagurati e fuori controll, in cui succedono una miriade di cose senza un disegno preciso e dove l’impressione è forte di viaggiare a bordo di un mezzo che procede per accelerazione inerziale. Trama: nell’Inghilterra ottocentesca il flagello zombico è ormai un dato di fatto, un elemento dell’ambiente con cui convivere. Romero per questo concetto è sempre andato pazzo, anche se non gli è mai riuscito di portarlo sullo schermo come succede qui: con la gente che fa vita di società, balla, si diverte a un passo dal pericolo, che è sempre in agguato. I contagiati, però, sono in grado di dissimulare e per stanarli, allora, si ricorre all’ausilio di mosche sarcofaghe (do you remeber Phenomena?) che si posano sulla carne marcia e svelano lo zombi. Entra in scena, così, il tenebroso Mr Darcy (Sam Riley), distruttore di morti viventi, insieme al suo amico più morbido e mite Mr Bingley (Douglass Boote).

Ma subito dopo veniamo introdotti alle vedettes vere e proprie di PPZ, ossia le figlie della famiglia Bennet, cinque pezzi di figliole che in ordine di crescente importanza vanno da Millie Brady (Mary) a Suki Waterhouse (Kitty) a Emma Greenwell (Caroline) a Ellie Bamber (Lidia) fino a Bella Heathcote (Jane) e Lily James (Elizabeth). Il padre le ha mandate a studiare l’arte della guerra in un tempio Shaolin, come usa in questo mondo piagato dagli zombi, onde potersi difendere e sopravvivere. Burr, il regista, fa ovviamente il figo quando si tratta di farle scatenare la prima volta, tutte e cinque, nel corso di una festa da ballo che diventa un mattatoio, usando tutti i trucchi del mestiere. E non c’è niente da eccepire, anche se una scena del genere ci sembra di averla già vista cento volte. Perché anche la centunesima funziona, con queste bellezze che sfoderano lame e pugnali da ogni pertugio. Mr Bingley punta subito Jane (la più figa, oggettivamente), mentre il solipsistico Darcy fa ballare l’occhio su Elizabeth (la protagonista, tette notevoli), che gli si negherà fino all’ultimo e a naso direi che l’ “orgoglio”, cioè la fierezza, del romanzo della Austen è questo qui, del personaggio di Lily James – già Cenerentola; una che, come avrebbe detto Pozzetto: di viso non è male e può andare di corpo. Tra Elizabeth e Mr. Bingley si frappone un terzo figuro, Mr. Wickam (Jack Huston), un tenentino che sembrerebbe dover far vacillare il cuore della ragazza ma che va svelando connotati ambigui, a non voler spoilerare altro. Ecco, il groviglio di Pride and Prejudice and Zombies sta nel poco che abbiamo detto, complicato però all’inverosimile con una serie di accadimenti che hanno come motore i sentimenti dei personaggi e il premere dei maiora zombeschi alle porte della zona di mezzo, una regione protetta e fortificata dove i personaggi vivono ma che abbandoneranno per andare dove li porta il cuore.

Da un certo punto in poi, in Pride and Prejudice and Zombies gli eventi cominciano ad accelerare e si perde l’esatta cognizione di ciò che sta succedendo. Lo sbalestramento che certo tutti muoveranno a colpa del film, per chi scrive è il suo pregio e ciò che lo avvicina a una maniera di fare cinema lontana nel tempo. Ci si lascia trascinare dal moto, si gode delle coreografie degli scontri e anche dell’ingenuità di certi passaggi patetici che sembrerebbero roba da paese dei campanelli e invece funzionano. La fine non è male, ma a Burr bisognerebbe qui tirare le orecchie perché il controcampo era inutile e l’immagine, se l’avesse gelata solo su di loro e sul loro sguardo, sarebbe stata una raffinatezza involontariamente fulciana. Ecco, però, gli zombi: molti probabilmente lamenteranno che nell’acrostico PPZ, la Z poteva anche non esserci perché, tutto sommato, i cadaveri si vedono poco – ci sono, però, anche zombi addomesticati, nutriti con cervelli di maiale e che vanno in chiesa. Resto convinto che qui il troppo avrebbe certamente stroppiato e che la zombitas del film è dosata accortamente. Una sola nota conclusiva sul fatto che tra i produttori vi sia Natalie Portman, la quale ha evidentemente voglia di horror nelle vene, visto che il suo nome per un tratto è stato in ballo, come produttrice – oltre che come star – del remake di Suspiria che ora farà Guadagnino.