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Parasite

2019
Titolo Originale:
Gisaengchung
REGIA:
Joon-ho Bong
CAST:
Song Kang-ho (Ki-taek)
Lee Sun-kyun (sig. Park)
Cho Yeo-jeong (Yeon-kyo)

Il nostro giudizio

Parasite è un film del 2019 diretto da Joon-ho Bong.

Ci sono voluti 16 anni da quando Joon-ho Bong ha fatto la sua prima apparizione a Cannes (con Memories of Murder, nel 2003) perché il regista di Snowpiercer venisse consacrato con la Palma d’oro. Placate le polemiche di Okja (produzione Netflix sbarcata a Cannes due anni fa con conseguente protesta degli esercenti francesi che reclamavano la testa di Thierry Frémont), la Corea finalmente viene per la prima volta celebrata dalla giuria presieduta da Alejandro González Iñárritu. Mai scelta si è rivelata più felice, semplicemente perché Parasite è il migliore film di questo Cannes 2019. Un film talmente pregno di cose, intuizioni, generi, emozioni da racchiudere in sé tutta l’essenza stessa del cinema. Ecco, Parasite è cinema puro. Quel cinema che è bello guardare, vivere, sentire sulla pelle.  Un po’ come nel primo De Palma, l’arte di Joon-ho Bong di mettere in scena la finzione è sorprendente. Una precisione di scrittura per immagini impeccabile ed elegante. Verrebbe da dire troppo perfetta.

Ma dietro alla grazia della mise en scène, però, c’è molto di più. Nel raccontare la storia di questa famiglia di disperati che, con geniale e spudorata abilità, si intrufola nella vita e nella casa di un’altra famiglia ricca e borghese sconvolgendone l’esistenza, Joon-ho Bong passa con incredibile abilità da un registro all’altro, dalla commedia, al thriller, dal dramma all’horror, dimostrando che i vari generi possano convivere amabilmente quando a sostenerli c’è una storia importante e gli attori giusti (tra i quali ovviamente l’immancabile Kang-ho Song). Ki-taek (Song) e la sua famiglia vivono in un seminterrato di fronte alle finestre del quale gli ubriachi si fermano a pisciare. Al figlio di Ki-taek viene un’idea per evadere dal quel mondo di sconsolata miseria e, fingendosi professore di sostegno per una ragazza ricca, riesce, a far assumere dai genitori di lei tutti i suoi famigliari sotto mentite spoglie.

La sorella si finge professoressa d’arte, il padre autista, la madre collaboratrice domestica. Per ottenere quei posti e allontanare i precedenti domestici non esitano a commettere qualsiasi nefandezza. Ma un mistero ancora più tragico si nasconde nella cantina dalla lussuosa villa. Alla fine scorrerà il sangue… ma non sarà fine a sé stesso. La metafora sociale messa in Parasite è chiara e racconta molto bene la società moderna (non solo coreana), la discriminazione e l’ingiustizia sociale, lo sbilanciamento economico tra ricchi troppo ricchi e poveri troppo poveri. E lo fa con un distacco lucido, quasi spietato, senza scadere nel patetico e senza prendere posizioni. Il marcio è ovunque e dentro chiunque. Il male (di vivere) è intriso nell’animo umano e le condizioni economiche diventano solo il pretesto per tirare fuori il peggio di noi stessi. Mette i brividi.