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Paranormal Activity: The Ghost Dimension

2015
Titolo Originale:
Paranormal Activity: The Ghost Dimension
REGIA:
Gregory Plotkin
CAST:
Chris J. Murray
Brit Shaw
Dan Gill

Il nostro giudizio

Paranormal Activity: The Ghost Dimension è un film del 2015, diretto da Gregory Plotkin.

La saga del found-footage più duplicabile d’un Mogwai arriva alla sesta delle “cronache” originate dal capostipite del 2007 di Oren Peli, qui produttore assieme all’inevitabile Jason Blum. Meet the Fleeges, stavolta, ma siamo sempre a zonzo nella stessa villa in stile spagnolo e – come prevede il marchio registrato – vittime di una sequela spossante di riprese un po’ stronze. Medium del giorno: la piccola Leila Fleege, interpretata da Ivy George. La rampolla di casa viene intercettata dal demone-stalker Toby, che cerca di plagiarla a modino per concretizzarsi in forma umana. («He’s real mommy, just like you and me»). Sia chiaro: per chi veleggia verso i quaranta, la dinastia di The Ghost Dimension, inzeppata com’è d’inquadrature rétro da videosorveglianza Metronotte e personaggi non caratterizzati, probabilmente non fa scendere la lacrimuccia come un Non aprite quel cancello qualsiasi, avendo avuto inoltre fra i pochi meriti lo sdoganamento definitivo di un genere che già sembrava lesso ai tempi del suo capostipite The Blair Witch Project (1999). L’excursus di Paranormal Activity è stato un po’ come quello di certe band che al primo singolo diventano  “big in Japan”: soldi a palate e  pacche sulle spalle dai mammasantissima dello show-biz.

Ve lo ricordate Spielberg che dopo aver visto la première pareva voler correre a cambiarsi i boxer? Per IMDB dovette addirittura interrompere la visione. Sarà, ma alla fine della fiera Paranormal Activity di critiche bonarie ne ricevette pochine. E posti d’onore nelle top-five di un Nerd qualsiasi? Neanche a parlarne. Su Bloody Disgusting è solo al sedicesimo posto fra i 20 horror più influenti degli Anni Zero. Per Argento fu «Una boiata pazzesca, che non fa nemmeno paura». Insomma Paranormal Activity fu exploit ma non exploitation. L’intera serie – per chi vi scrive – ha raggiunto il minimo d’interesse sindacale solo al terzo tentativo, quando le traversie dei Featherston hanno cominciato ad assumere – col ritorno del personaggio della rubizza Katie – quel tot d’istituzionalizzazione che ispessiva il plot e faceva empatia. È con la moltiplicazione dei Points Of Wiew (Paranormal Activity IV) e gli alambiccati andirivieni dei niños latinos di The Marked Ones che il brand si è forse scrollato di dosso lo statico neo-classicismo dei primi due capitoli. Nel 2010, infatti, gli stilemi di P.A (vero istant-cult per orde di registi-wannabes) erano diventati talmente codificati e copiaincollati da rendersi di lì a poco oggetto di sboccate e giustificatissime parodie (A Hanted House, 2013).

Questo The Ghost Dimension, quindi, anche solo per il suo rispecchiarsi nel 2011 (l’insistito ping-pong fra Katie e Leila) un po’ d’attesa se la portava appresso. Purtroppo il fac-totum Gregory Plotkin (nel suo curriculum montaggio e produzione e recitazione… ma dov’è la ciccia vera?) mortifica ogni buona intuizione iniziale, per esempio quella della videocamera extra-visiva ritrovata da papà Fleege (Chris J.Murray). Invece di immergersi negli effetti stonati delle lenti deformanti dell’arnese ritrovato nella villa di Santa Rosa l’attenzione viene dirottata sugli fx dozzinali come quelli delle fontane d’energia Psi con le quali Toby si manifesta ogni notte. Sarà il 3D, che suggerisce agli sceneggiatori di far squirtare ad ogni piè sospinto succo di spettro dritto nella camera, oppure la duplicazione della figura paterna che diluisce la paura (il rassicurante zio costantemente fra i piedi), ma i precedenti prodotti targati Blumhouse facevano molta più paura. Si salva la cassetta che predice il futuro e il lugubre tunnel per il Multiverso che sembra ispirato ad un Lp Epic-Metal degli Anni Ottanta, ma qualcuno dica a Steven Spielberg di andare tranquillamente al cinema senza portarsi il cambio, stavolta.