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Paradise

2023
REGIA:
Boris Kunz
CAST:
Kostja Ullmann (Max)
Corinna Kirchhoff (Elena vecchia)
Marlene Tanczik (Elena giovane)

Il nostro giudizio

Paradise è un film del 2023, diretto da Boris Kunz.

Qual è il bene più prezioso? La famiglia? Una Lamborghini nuova fiammante? L’ultimo stilosissimo modello di iPhone? Oppure la beneamata pirofila in vetro di Murano della defunta nonnina? Beh, niente di tutto ciò amici cari, poiché, se ci pensate un attimo, nella nostra frenica e brulicante vitaccia quotidiana nulla pare avere più valore del caro vecchio tempo. Quel ticchettante e implacabile incedere di lancette che, da scafato precog della celluloide, il buon Adrew Niccol aveva già profetizzato quale deviata moneta di scambio nell’inevitabilmente distopico futuro del suo fantascientifico In Time;, laddove, secondo una sempreverde uroborica filosofia, così come il denaro è certamente in grado di comprare il tempo, anche quest’ultimo, se ben gestito, permette di raggranellare parecchi quattrini.  Ed è proprio su di un’eguale distopia inquietantemente fanta e provocatoriamente (anti)scientifica che quel gran crucco di Boris Kunz ha scelto di fondare la perturbante lore del suo Paradise, spingendosi se possibile ancora più all’estremo nell’immaginare la cupa Europa di un gelido e laccatissimo prossimo domani che, nonostante il suo essere rigorosamente vegana, green e carbon free, a partire dalla serissima e stacanovista Germania sembra aver scelto d’intraprendere, grazie alla pionieristica società farmaceutica AEON, una vera e propria rivoluzione copernicana nel più che secolare campo della domanda e dell’offerta.

Grazie infatti ad un’avanguardistica quanto moralmente opinabile tecnologia, i più indigenti possono ora (s)vendere interi anni della propria vita ad un ristrettissimo manipolo di facoltosi privilegiati, potendosi dunque permettere di foraggiare vizi e bollette a scapito di un repentino invecchiamento, il quale garantirà, di contro, una nuova artificiale giovinezza ai ricchi e potenti acquirenti il cui prezioso DNA risulti compatibile. Piccolo fondamentale ingranaggio di questa distorta macchina neocapitalistica è il fascinoso Max (Kostja Ullmann) che, tuttavia, da rampante procacciatore di contratti a tempo determinato – suvvia, un po’ d’ironia fa sempre bene! – si ritroverà a tempo record (sic!) dall’altro lato della carreggiata quando, a seguito di un misterioso incendio scoppiato nella sua sciccosissima e costosa abitazione, vessato dalla tagliente spada di Damocle di un consistente mutuo farà di tutto per impedire che l’amata mogliettina Elena (Marlene Tanzcik) contribuisca a estinguere in prima persona il gargantuesco debito, cedendo, per un puro cavillo burocratico, ben quarant’anni della propria giovane e spensierata esistenza.

Barcamenandosi nel mezzo di una serie di sanguinosi attentanti, orditi ai danni dei neo giovanilistici riccastri dall’oscuro gruppo anarchico denominato Adam, il nostro rinsavito colletto bianco sarà costretto a gettarsi a capofitto in un’allucinante odissea che lo porterà a scoperchiare il sordido vaso di Pandora ben celato dietro a questa nuova contestatissima procedura e al carismatico rugoso faccino della sua machiavellica ideatrice, nel mentre in cui la sua dolce metà inizierà implacabilmente a sperimentare tutti i precoci svantaggi della tanto decantata terza età. Un ennesimo cinematografico Paradise dai connotati inevitabilmente infernali quello apparecchiato con discreto mestiere dal buon Kunz, capace di dipingere con toni gelidi ma al contempo accorati una tagliente critica agli insidiosi pericoli di un pertubante tomorrow che, per parecchi aspetti, non può che rispecchiare certi inquietanti potenziali eccessi di un vividissimo today. Pur rischiando in più occasioni di esaurire troppo presto il proprio carburante – senza tuttavia sacrificare il sacrosanto intrattenimento sull’altare di esistenzialistici voli pindarici tanto cari a certa contemporanea netflixiana sci-fi –, questo piccolo incubo distopico in odor di Black Mirror riesce comunque a scavare in profondità nelle sue quasi due ore di durata, appesantendosi pericolosamente soltanto nell’ultimo risolutivo giro di boa a causa di un’eccessiva ripetitività nei suoi non ben lubrificati ingranaggi thrilling e dell’inevitabile perdita di aderenza di un’action non poi così troppo convinta. Niente di nuovo sul Fronte Occidentale e men che meno all’ombra del portone di Brandeburgo, sia chiaro. Soprattutto perché il rischio di perdere troppo tempo in chiacchiere, in un film che proprio del valore del tempo ci vuol parlare, pare sempre essere in agguato dietro l’angolo come il wertmülleriano brigante da strada.