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Panic

2021
REGIA:
Megan Griffiths, Gandja Monteiro, Viet Nguyen, Ry Russo-Young, Jamie Travis, Leigh Janiak
CAST:
Rachel Bay Jones (Sherri Nill)
Nancy McKeon (Jessica Mason)
Todd Williams (John William)

Il nostro giudizio

Panic è una serie tv del 2021, ideata da Lauren Olivier.

Da venerdì 28 maggio, su Amazon Prime Video, è disponibile Panic, nuovo teen drama tratto dal best seller di Lauren Olivier a cui è stata affidata anche la sceneggiatura dei 10 episodi nei quali si declina lo show.  Si tratta della storia di una sperduta cittadina del Texas dove, ogni anno, i maturandi, nell’estate in cui conseguono il titolo, partecipano ad un gioco, Panic, la cui origine è ignota ma radicata nella tradizione del posto. Il gioco si compone di una serie di prove di natura sia psicologia che fisica. Il rischio è altissimo, ma anche il montepremi in palio. Da anni ormai sul ring ci sono Netflix e Amazon Prime a farsi la guerra per conquistare la più ampia fetta di pubblico a disposizione. Amazon da qualche tempo spera di ampliare il proprio bacino d’utenza abbracciando il pubblico young-adult. Il lancio di Panic, è coerente col progetto ma, se questo è il cavallo di battaglia di Amazon, non resta che sperare che abbia in serbo un asso nella manica, perché la stagione primavera-estate 2021 di Prime Video sta per concludersi con un apicale fallimento. Panic è un titolo accattivante che alza notevolmente l’asticella delle aspettative. Nella mitologia greca, il dio Pan si aggirava nelle foreste, inseguendo le ninfe e terrorizzandole. Allo stesso modo l’attacco di panico ha origine da un faccia a faccia con le proprie paure e si acuisce quando la mente non è in grado di gestirlo; ebbene, lo show Prime Video di tensivo ha solo il nome: le vere paure dei protagonisti vengono sfiorate, ma non approfondite, anche le prove alle quali devono sottoporsi, sono prive di inventiva, scontate e rozze.

Mai, in nessun caso, chi guarda teme per l’incolumità dei partecipanti, neanche per quella dei protagonisti, la cui partecipazione al gioco è giustificata dalla voglia di fuggire da una realtà stretta e claustrofobica; le loro azioni, le loro motivazioni, sono così poco tollerabili che, di tanto in tanto, per una breve frazione di secondo, speri che non ce la facciano. Almeno per provare la liberatoria sensazione di puntare il dito contro il loro cadavere sullo schermo e dire: ecco! Scappa adesso! Le scelte dei personaggi sono perlopiù immotivate e non rincorrono alcuna logica. Il finale sembra una sfida a “Perde chi molla” fra il ragionevole e il demenziale: i protagonisti iniziano a correre come mine vaganti senza alcun senso nel tentativo di chiudere un cerchio che si potrebbe in realtà risolvere in 15 secondi, con una sola mossa e un solo personaggio. Con il giorno e la notte i protagonisti, incapaci di farsi conoscere, oscillano tra l’interpretare dottor Jeckyll  e l’imitare il signor Hyde, in ogni caso restano fedeli a loro stessi,  inconcludenti e dissociati dalla realtà. Gli stessi singoli episodi si articolano attraverso un fraseggio, mal riuscito, in cui le scene alla luce del sole ricordano le dinamiche di Gossip Girl,  quelle del crepuscolo le immagini moderatamente dark di Pretty Little Liars e le notturne la fusione tra Hunger Games e Saw – l’Enigmista; laddove, nell’equazione di cui fanno parte, Saw sta all’immagine del saccottino al cioccolato sulla confezione e  Panic sta al saccottino effettivo all’interno della confezione, dove del cioccolato non se ne vede l’ombra.

Intensi, almeno in potenza, i momenti con protagonista una tigre addomesticata ma non troppo; di fatto, poi, quando ti sfugge la mano con la CGI, Jessica Rabbit ti sembra più credibile. Unico elemento a strizzare l’occhio allo spettatore è il mistero attorno alle origini del gioco e al nous che muove le fila. Tuttavia, la vera riflessione che Olivier sembra voler innescare ha più attinenza con il fatto che siano loro stessi, i partecipanti al gioco, vittime delle spietate prove, ad averlo creato. Ed è questo ciò da cui dovrebbero lasciarsi spaventare maggiormente. L’adolescenza di cui abbiamo memoria si consumava in stanze chiuse a chiave e in pomeriggi trascorsi a scrivere pagine e pagine di diario, ascoltando musica; un’adolescenza non troppo diversa da quella che osserviamo oggi: giovani adulti, chiusi nelle loro stanze, che si scambiano emoticon e ascoltano musica orribile. Solo che sono gli stessi adolescenti che si cimentano in pericolose challenge social e vanno a caccia di Pokémon. E, allora, Panic cosa intende essere? Una stridente richiesta d’aiuto? Una velata denuncia? Il manifesto di un’emergenza?  Se così fosse, questa segnalazione è davvero necessaria, è utile utilizzare il cinema come mezzo di denuncia? Il dubbio che si condensa è quello che da secoli cerca una soluzione: è l’arte che imita la vita o la vita ad imitare l’arte?