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Padrenostro

2020
REGIA:
Claudio Noce
CAST:
Pierfrancesco Favino (Alfonso)
Barbara Ronchi (Gina)
Mattia Garaci (Valerio)

Il nostro giudizio

Padrenostro è un film del 2020, diretto da Claudio Noce.

Il 14 settembre del ‘76 il vicequestore Alfonso Noce, allora responsabile del nucleo antiterrorismo del Lazio, viene colpito sotto casa, a Roma, da una raffica di mitra esplosa da un commando dei NAP (Nuclei Armati Proletari); si salva miracolosamente, ma perdono la vita il suo autista, Prisco Palumbo, e uno dei terroristi, Martino Zichittella. E questa è storia. Quarantaquattro anni dopo, il figlio di Alfonso Noce, il regista Claudio (e questa è fiction) racconta la vicenda in un film, Padrenostro. «Non ho voluto mettere in scena una storia personale, anche perché allora avevo solo un anno», conferma il regista, «ma mi piaceva l’idea di rappresentare la paura di quegli anni vista attraverso lo sguardo di un bambino». Pierfrancesco Favino, sempre bravo, ma un po’ imbolsito nel ruolo del vicequestore, sottolinea: «Il film evidenzia la complessità del rapporto padre-figlio, soprattutto a quell’epoca, quando i piccoli andavano protetti con il silenzio. Mentre, in verità, sentivano e capivano quasi tutto. Noi cinquantenni, allora bambini, non eravamo protagonisti, ma respiravamo le paure degli adulti». Noce, che aveva già presentato al festival di Venezia Good Morning Aman (2009), suo primo lungometraggio, e, a quello di Roma, La foresta di ghiaccio (2014), film di ambiente alpino con Emir Kusturica protagonista, torna dunque alla 77esima rassegna veneta, stavolta, però, in concorso. Il vero protagonista di Padrenostro è Valerio, 10 anni, figlio del vicequestore, interpretato dall’esordiente Mattia Garaci, biondino dagli occhi azzurri vagamente viscontiano-mahleriano, che sembra vivere di vita propria, estraneo alla famiglia, tanto da crearsi un immaginario amico al quale serve sul terrazzo condominiale cotolette alla milanese nascoste in una rivista.

In realtà, a “salvarlo” dal trauma dell’aver assistito al ferimento del padre e all’agonia del terrorista colpito a morte sull’asfalto, sarà un nuovo amico, il quattordicenne Christian (Francesco Gheghi tornato a Venezia un anno dopo Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani). Christian gli appare quasi per magia, è un ragazzo di strada, venuto dal nulla (tanto da far pensare a un’immagine onirica) e trascina Valerio in un microcosmo selvaggio e lontano anni luce dalla quotidianità introversa del ragazzino. I due scorrazzano in bici, entrano in conflitto, lottano persino, si vedono di nascosto e non si fanno troppe domande, accontentandosi dei momenti spensierati trascorsi insieme. Mesi dopo il rientro del padre dall’ospedale, quando i genitori comprendono finalmente che Valerio è stato testimone dell’attentato e si comporta in modo strano, arrivando persino a disegnare col gesso le sagome delle vittime sul terreno, mamma e papà decidono di trasferirlo a Riace dove si trasferiscono tutti per alcuni giorni di vacanza, compresa la sorellina, interpretata dalla vera figlia di Favino, Lea. In Calabria, terra natale del capofamiglia, incredibilmente, in una assolata mattina, Valerio si troverà davanti, in piena campagna, l’amico Christian che afferma di aver preso il treno per raggiungerlo (e anche qui si sospetta una visione immaginaria…  se non paranormale). Macché, è tutto vero: presto il ragazzo diverrà, anche laggiù, l’inseparabile compagno di giochi di Valerio, tanto che la famiglia, allargata con nonne cuciniere e nonni saggi, lo ospiterà in casa propria.

Di qui in avanti si moltiplicano falle logistiche e di script: che Christian non apparisse per caso, una volta appurato che non fosse un fantasma, lo si era immaginato già a metà film, come pure che avesse in qualche modo a che fare con l’attentato al vicequestore. E così è, infatti. La piccola Favino scopre un giornale, trovato da Valerio nel borsello di Christian insieme con una foto di lui piccolo con mamma e papà terroristi (che si chiamano Montanari e, guarda un po’, Balzaran). Il giornale riporta a nove colonne la notizia dell’attentato e la bambina esclama, quasi orgogliosa nella sua infantile ingenuità: «Ma questo in foto è papà!». Panico. Favino e Ronchi scattano come siluri alla ricerca del figlio che, a sua volta, ricerca Christian. In breve, il vicequestore, Valerio e Christian si ritrovano su un pericoloso scoglio a picco sul mare. E mentre padre e figlio si abbracciano, si sospetta che Christian abbia compiuto un gesto sconsiderato, lanciandosi in mare dalla rupe.  Ma no… se n’è semplicemente andato per i fatti suoi. Ma che voleva Christian? Uccidere Favino, responsabile della morte del padre? Non si capisce. Salto temporale in avanti: i due amici poi nemici si ritrovano, anni dopo, da grandi, durante un black-out in metrò. Si guardano, si riconoscono… infine si abbracciano e si fanno una grossa risata, mentre si sovrappongono alla scena le immagini dei due, nuovamente ragazzini, coloratissimi, felici e sorridenti, farsi strada in mezzo alla folla come personaggi di un cartone animato.