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The Outsider

2013
Titolo Originale:
The Outsider
REGIA:
Edoardo Margheriti
CAST:
Antonio Margheriti
Edoardo Margheriti
Franco Nero

Il nostro giudizio

Edoardo Margheriti omaggia suo padre Antonio con un documentario che manifesta le stesse caratteristiche del grande cinema di Anthony Dawson.

Prendo il discorso largo. Ma forse poi nemmeno tanto. Avvicinarsi al cinema di Antonio Margheriti comporta uno strano effetto,uroborico direbbero quelli che parlano difficile. Si viene cioè attratti nell’orbita di qualcosa che tende a una figura rotatoria, un vortice, una spirale, una curva che avanza all’infinito. Il punto al quale voglio arrivare è che il cinema di Antonio Margheriti tende ad avere la stessa forza centripeta che possiede il meccanismo di uno dei suoi film considerati migliori, cioè Danza macabra. Il valzer delle ombre che ripete se stesso perpetuamente, ogni giorno, ogni notte eguale, eppure, in qualche modo, ogni volta diverso. Qualche mese fa, dovendomi concentrare sul dossier di Nocturno che abbiamo dedicato ad Antonio – lo chiamo così anche se non ho mai avuto la fortuna di incontrarlo, ma è come se lo avessi conosciuto: è strana questa cosa…. – mi sono reso conto di quanto il suo cinema viva sulla regola di un eterno incantesimo, di una fascinazione che si ripete con forza eguale e trascinante. Margheriti ha fatto sempre, dico sempre, senza eccezioni, dei film giusti. Cos’è un film giusto? Un film che non ti frega, che non ti lascia mai il senso di qualcosa che ti aspettavi o ti aspetteresti migliore. Non succede con nessun altro regista che conosco. Succede solo con questo “fuoriclasse”. Margheriti ha diretto film che erano sempre “pieni sino all’orlo”. Pieni di che? Ah, questo non lo so e non mi metto certo per la strada impossibile di schiacciare in parole o in definizioni questo quid. So che dopo avere ricominciato a vedere un Margheriti – come ciclicamente mi accade – ne voglio subito vedere un altro, e poi un altro e un altro ancora. Un danza in tondo, un valzer da ballare con uno splendido fantasma, che potrebbe virtualmente non terminare mai…

The outsider, il documentario che Edoardo Margheriti ha realizzato come omaggio a suo padre, nell’occasione del decennale della scomparsa, contiene circa un’ora di filmato che possiede, per quanto mi riguarda, le stesse caratteristiche che ho appena tentato di spiegare – probabilmente senza riuscirci – a proposito del cinema dell’oggetto di questo omaggio. Un’ora alla fine della quale si sarebbe volentieri disponibili a vedere un’altra ora che ci raccontasse anche le stesse cose. Questo per ragioni sia intrinseche sia estrinseche. Edoardo è, oggi come oggi, il maggiore conoscitore sulla faccia della Terra del cinema di suo padre. Non solo per quella tranche della filmografia che unì i destini professionali dei Margheriti senior e junior, dalla fine degli anni Settanta in poi, ma per tutta quanta la carriera di Antonio. È ovvio che la cosa abbia il suo peso, tanto più che Edoardo è un esegeta e uno storico molto equilibrato, e quel che scrive nel sito o dice non è mai apologia da quattro soldi. Quindi, il documentario, che tiene la narrazione di Edoardo come filo conduttore, partiva con questo grosso vantaggio, diciamo così, connaturato, strutturale. C’è poi la parte esterna, il materiale “testimoniale”, realizzato di qui e di là dall’Oceano (poteva mancare questo aspetto internazionale in un lavoro su Antonio Margheriti, il più cosmopolita dei nostri registi?), dove Edoardo è volato per incastrare interviste a Richard Harrison, John Steiner, Fred Williamson e, tra gli altri, quel Frank Pesce (nomen omen) che nel formidabile Killer Fish agguato sul fondo finiva arpionato per sbaglio e sbranato nelle acque ribollenti di piranhas. La rassegna delle persone intervistate in Italia è impressionante: oltre a tutti i maggiori, mi piace ricordare Alberto Dell’Acqua che nei Giganti di Roma moriva appeso all’albero con il sole che sfondava in macchina (per il quale lo vituperarono ma che lui trasformò nel suo geniale, anzi in uno dei suoi geniali marchi di fabbrica) e gli oggi scomparsi Turi Vasile e Gianfranco Couyoumdjan, il produttore artefice della folgorante stagione vietnamita di Margheriti, che nelle Filippine girò alcuni dei suoi capolavori, film che nei lessici di soliti vengono ridotti sotto l’etichetta di avventurosi o bellici ma che in realtà andrebbero definiti semplicemente margheritiani o, se si preferisce, dawsoniani.