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Oscar insanguinato

1973
Titolo Originale:
Theatre of Blood
REGIA:
Douglas Hickox
CAST:
Vincent Price (Edward Lionheart)
Diana Rigg (Edwina Lionheart)
Ian Hendry (Peregrine Devlin)

Il nostro giudizio

Oscar insanguinato è un film del 1973, diretto da Douglas Hickox

Ci sono giorni un cui si ha bisogno di un pò di sano Vincent Price nella propria vita. Aveva qualcosa di magico quell’uomo, qualcosa che lo ha reso il mito immortale che è rimasto: quella fisicità longilinea e imponente che lui sfruttava sapientemente passando dall’eleganza alla goffaggine, quella mimica facciale inconfondibile con cui –marcatamente- sottolineava qualsiasi emozione dovesse esprimere nella parte (ammiccando allo stesso tempo allo spettatore. Non chiedetemi come, ma lui era costantemente in dialogo con lo spettatore, senza mai aver bisogno di guardare in camera). L’incredibile senso dell’umorismo, dell’autoironia e il puro divertimento che traspare in ogni millesimo di movimento che compie, la sua voce inconfondibile e un po’ chioccia, di cui Price faceva un uso molto consapevole in bilico tra il pomposo, il pauroso e il teatrale (che non può essere mai preso troppo sul serio). La sua innata grazia. Da tempo avevo Oscar Insanguinato (Theatre of Blood, di Douglas Hickox UK 1973) nella mia lunghissima lista dei da vedere da decenni. Finalmente lo guardo ed è un capolavoro. Esistono pile di recensioni scritte da penne ben più esperte della mia, ma non adeguatamente appassionate allo splendore che ho visto. Vincent Price va trattato con passione sguaiata ed esibita senza pudori.  Il film è difficilmente classificabile in un genere: è una deliziosa e attualissima satira al mondo arrogante e autoreferenziale della critica cinematografica (qui teatrale – ma il concetto è identico); un inno agli eterni secondi: quelle meravigliose, tenere creature prive di talento che però ci credono, ci mettono l’anima e si innamorano del proprio mediocre risultato; un’antologia di opere e testi shakespeariani (che in una commedia horror di puro intrattenimento non è poco), una roaring rampage of revenge, un horror grottesco, un esemplare perfetto di humour nero inglese, un trionfo di soluzioni registiche, colori, costumi, coreografie e scenografie squisitamente teatrali realizzate con mezzi modesti. Un’orgia per i sensi.

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Il plot praticamente non esiste: l’attore cane Lionheart (Price mattatore assoluto) si vendica con feroce organizzazione dei critici teatrali che lo hanno sistematicamente stroncato negli anni e gli hanno negato un prestigioso premio teatrale a cui lui teneva da morire. Con l’aiuto della figlia (una perfetta Diana Rigg, febbricitante tanto quanto il protagonista) e una corte dei miracoli di senzatetto e alcolisti che ha raccattato lungo la sua strada, il nostro eroe si fa credere morto per poi rapire in incognito una ad una le sue designate vittime e giustiziarle inscenando per ognuno uno sfrenato delitto ispirato alle uccisioni che vi sono in alcune tragedie di William Shakespeare e da lui recitate. In questo film ho rivisto molto di Il senso della vita dei Monty Python (Monty Python’s The Meaning of Life, Terry Jones, 1983), dei nonsense del genio assoluto di Marty Feldman ne Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (The Adventure of Sherlock Holmes’ Smarter Brother, Gene Wilder, 1975), persino degli ingenui scketch maldestramente recitati dai Beatles in Tutti per uno (A Hard Day’s Night, Richard Lester, 1964) e le figure caricaturali dei poliziotti. Dire che il film è stato cucito addosso al mitico Price è vero in parte: certo, lui ci delizia con le sue finezze, le sue esagerazioni, gli accenti: si esibisce in ogni foggia immaginabile (dal Mercante di Venezia al parrucchiere con tanto di afro anni ’70, al chirurgo, allo chef francese) truccato, illuminato e inquadrato magnificamente, cesella con folle dolcezza la tragedia del mediocre che è ormai vecchio e superato nello stile ma non vuole accettarlo.

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Ma Oscar insanguinato è frutto di una sapiente lavorazione, come ho detto prima, sia per quanto riguarda la messa in scena – ricchissima ed evidentemente economica – che per quanto riguarda la satira che porta con sé. La redazione dei critici teatrali è descritta come un’élite di egoriferiti, arricchiti, arroganti e sostanzialmente inutili (What do you know of the tears and sweat we put into out work? Non sai fare niente eppure critichi! È il lamento sul finale del nostro eroe, dialogo che si trova quasi identico nel recentissimo Birdman – 2014 Alejandro González Iñárritu). Lo spettatore cinefilo conosce questa casta molto bene, e di media la detesta per la supponenza e la dotta inutilità esibita che rappresenta, ma anche chi non conosce l’ambiente viene messo nella posizione di detestare questo stralcio di mondo che viene così viziosamente descritto, e quindi di godere grassamente ad ogni efferato assassinio. Poche volte in vita mia mi sono divertita così grassamente con un’opera così intelligente. Ti amo, Vincent Price, ovunque tu sia: ti voglio bene come fossi mio zio perché tu hai una virtù che ti rende immortale: doni gioia.