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Orphan: First Kill

2022
REGIA:
William Brent Bell
CAST:
Isabelle Fuhrman (Leena Klammer/Esther Albright)
Julia Stiles (Tricia Albright)
Rossif Sutherland (Allen Albright)

Il nostro giudizio

Orphan: First Kill è un film del 2022, diretto da William Brent Bell.

Ogni Male, per quanto oscuro possa essere, ha sempre una sua origine. Ed è appunto alle radici di questo Male che, come Hereditary ci ha insegnato, si cela la chiave di volta necessaria a decifrarlo e, forse, in parte anche a comprenderlo. E non era certo un male di poco conto quello che sembrava celarsi, sin dal principio, dietro i bei codini e al faccino di porcellana della piccola dolce Esther protagonista di Orphan. Autentico angioletto del male che, come centinaia di cinematografici terribili bambinelli prima di lei, si dimostrava una più che discreta gattaccia da pelare per la sfortunata famiglia adottiva incautamente disposta ad accoglierla. Se dunque il lavoro di orrore e tensione creato a suo tempo da Jaume Collet-Serra si era rivelato decisamente di ottima fattura, il buon William Brent Bell, ormai specialista di indicibili terrori racchiusi fra quattro anguste mura, decide stavolta di rilanciare ulteriormente la posta, scegliendo con Orphan: First Kill d’imboccare i rischiosi e tutt’altro che comodi lidi del prequel, conducendoci per mano là dove tutto ebbe inizio: in quel diroccato istituto psichiatrico sperduto nelle lande estoni in cui il temibile Giglio Nero in gonnella sbocciò rigoglioso in tutto il suo malevolo splendore.

Non è un compito facile parlare di Orphan: Fist Kill e del cordone ombelicale che lo lega alla sua opera maestra senza rischiare di violare l’undicesimo sacro ciondolamento del “non spoilerare un film invano”. Pertanto cercheremo di seguire il venerabile verbo della stringata sobrietà donatoci da IMDb limitandoci a dire che, due anni prima dei sanguinosi accadimenti che portarono una cara, dolce e pericolosa serpe in seno a Vera Farmiga e Peter Sarsgaad, la piccola Esther (Isabelle Fuhrman), il cui vero nome è in realtà Leena Klammer, dopo essere fuggita dal manicomio est europeo nel quale era detenuta per ottime ragioni – ben note a coloro che hanno visionato sino in fondo il precedente capitolo – decide di assumere l’identità di una bambinetta americana misteriosamente scomparsa, così da farsi adottare a tradimento dalla di lei ricca e apparentemente amorevole famigliola. Credendo di aver finalmente trovato l’oca dalle uova d’oro tra le braccia di due nuovi genitori (Julia Stiles e Rossif Sutherland) e sicura di poter continuare a perpetrare indisturbata i suoi porci comodi, la nostra dovrà tuttavia vedersela con una serie di inaspettati eventi, tra cui un rapporto decisamente conflittuale col nuovo fratellastro (Matthew Finlan), gli insistenti sospetti mossi a suo carico da uno stoico detective (Hiro Kanagawa) e, dulcis in fundo, un inquietante segreto che sembra celarsi dietro la scomparsa della vera Esther e che pare coinvolgere qualcuno molto vicino e insospettabile.

Non c’è dubbio che, così come dimostrato in più di un’occasione, William Brent Bell sia divenuto ormai un asso nei plot twist narrativi capaci di lasciare a bocca aperta l’ignaro spettatore tanto da fagli esclamare un grasso e sonoro WTF?! Basta infatti dare una rapida occhiatina a opere come La mutazione del male, il celeberrimo The Boy o il più recente Separazione. Come il collega di brividi e suspense M.N. Shyamalan, è uno che, dopo aver costruito una discreta viscida e disturbante tensione per tutta la prima parte dei suoi lavori, sceglie di giocarsi il tutto e per tutto nel corso dell’ultimo giro di boa, sganciandoci addosso una boma che continuerà a rintronarci negli occhi ben oltre la fine dei titoli di coda. E nonostante infatti per tutto il suo primo blocco Orphan: First Kill paia erroneamente il solito prequel progettato per replicare in copia carbone le dinamiche del suo predecessore, stavolta, già allo scoccare della mezz’ora, si comincia a intuire che le cose non saranno affatto come ci si potrebbe aspettare, per poi svoltare bruscamente verso una direzione che anche il più scafato sbarbatello difficilmente avrebbe potuto subodorare. Da qui in avanti sarà infatti una corsa al cardiopalma all’interno di una lotta all’ultimo sangue, costruita con hitchcockiana cattiveria, nella quale il confine tra vittime e carnefici inizierà a farsi via via sempre più nebuloso, portandoci a capire come non solo i mali vengano in fin dei conti tutti per nuocere, ma anche che, fra due Mali, non è poi così strano tifare per il minore. D’altronde, come recita il famoso detto: “il nemico del mio nemico è, in fin dei conti, mio amico”.