Featured Image

Onirica

2014
Titolo Originale:
Onirica - Field of Dog
REGIA:
Lech Majewski
CAST:
Michal Tatarek
Elzbieta Okupska
Jacenty Jedrusik

Il nostro giudizio

Onirica è un film del 2014, diretto da Lech Majewski.

Lech Majewski è un’artista totale: poeta, pittore, video-artist, regista. E proprio l’apporto del factotum polacco al mondo della celluloide denota in maniera evidente la sua innata propensione verso sfere artistiche distanti tra loro e l’accurata duttilità e diversificazione nel trattamento loro riservato: dalla sceneggiatura per la meteora warholiana Basquiat (diretto da Julian Schnabel nel 1996), passando per Bosch ne Il giardino delle delizie (The Garden of Earthly Delights, 2004), proseguendo con il bizzarro assemblaggio di video-istallazioni Glass Lips (2007), fino a I colori della passione (The Mill and the Cross, 2011), ultima mirabile prova che vivificava i capolavori di Bruegel il Vecchio. Questo Onirica  Field of Dogs era stato presentato invece come un omaggio alla Divina Commedia dantesca: ed è vero solo in parte, poiché se il cardine tematico è dell’Alighieri, Majewski esplora ambiti artistici eterogenei, sperimentando al contempo curiose intersezioni con eventi contemporanei.

Adam (il “kafkiano” Michal Tatarek, “primo uomo” della sua nuova esistenza, in quanto superstite in un incidente in cui ha perso la compagna Basia e il migliore amico Kamil) e le “illusioni ipnagogiche”: per fuggire dai tormenti terreni, il protagonista cade in stati narcolettici che lo portano a sognare angeli che camminano tra le navate di chiese, no man’s land spettrali e ghiacciate, cattedrali inondate da scrosci torrenziali. Il trauma subito lo ha portato ad abbandonare la carriera di docente universitario relegandolo tra le corsie di un supermercato: dorme anche là, sognando una madre che allatta il pargolo sulla riva di un fiume. La nuova vita di

Adam è questo: un continuo saliscendi dalle vette oniriche e metafisiche del regno di Morfeo, alla noiosa routine quotidiana. Avendo perduto entrambi i genitori, unico referente sincero rimane la zia, figura “virgiliana” a livello teorico, con la quale condivide fughe intellettuali e ansie teologiche (la chiosa teodicea secondo cui «Dio è onnipotente a tal punto da creare la propria impotenza, la misericordia»), solitudini e disillusioni cosmiche («Quando prego sento solo la mia voce»). La Divina Commedia è il commento audio delle giornate di Adam e del suo nuovo status di dolente superstite («Non omo, omo già fui»), mentre (siamo nel 2010) la Polonia è il teatro di svariate piaghe naturali (inondazioni, incendi, il mistero dello schianto dell’aereo presidenziale): al lutto intimo e privato fa eco quello contingente, con stranianti parallelismi tra le “selve oscure” dantesche e le cronache nere televisive.

Majewski, partendo dall’opera dantesca, dirama quindi i propri riferimenti a più ambiti artistici: dal naturalismo del conterraneo Piotr Michalowski, agli ambienti disadorni con abiti stesi a mezz’aria che rimandano all’arte concettuale di Christian Boltanski, alle illustrazioni della Commedia di Gustave Dorè, ai simbolismi di matrice surreale, quali il cuore pulsante in un barattolo di vetro, la Tentazione in bikini con serpente al collo, il genitore epico con buoi ed aratro che solca l’ipermercato, il defunto Kamil col cranio fracassato che ammicca sardonicamente («L’uomo è un perfezionista, per fortuna esiste Dio che commette errori»). Ovviamente Majewski puntella l’apparato iconografico con svariate istanze filosofiche, e non potrebbe essere altrimenti: da Epitteto a  Seneca (Lettere a Lucilio) ad Heidegger, non si tratta mai di mero citazionismo o sproloquio capzioso e snob, bensì di teorie introiettate nel corpus filmico senza forzature, di “sintesi teoriche” reclamate dal magma visivo. L’arte non è consolatoria, ma sublimante: come il cammino del Poeta era teso al ricongiungimento con Beatrice, l’amata di Adam, Basia, giace esanime in uno squallido stanzone grigio, sin quando l’afflato amoroso consente loro di ascendere verso altre sfere, di “trasumanare”.

Onirica è spettacolare per la forza espressiva e comunicativa delle immagini, dei tableaux vivants scanditi da un ritmo cadenzato, come in un museo itinerante; Onirica è intimista, esistenziale, simbolico, criptico; e, se della trasposizione filmica su  Bruegel si ricordano i colori e la luce, di Onirica restano le Ombre e i Sogni, emblemi di Illusione e Trascendenza: to die, to sleep, perchance to dream…