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Onirica

2019
Titolo Originale:
Onirica
REGIA:
Luca Canale Brucculeri
CAST:
Fabio Rossini (Michael Tobias)
Camilla Nigro (Daria Nicolodi)
Diego Casale (Carlo Franciscus)

Il nostro giudizio

Onirica è un film del 2019, diretto da Luca Canale Brucculeri.

Nella prolifica scia del neo-giallo, cioè quel genere che rielabora i canoni del thriller italiano anni Settanta, cerca di inserirsi anche il regista indipendente Luca Canale Brucculeri con Onirica, più interessante nelle intenzioni che nell’effettiva riuscita, nonostante la presenza di alcuni buoni momenti. Onirica è un sentito omaggio al cinema di Dario Argento: non parliamo solo di una mimesi estetica, ma di un autentico esempio di meta-cinema, siamo cioè in un film che parla esso stesso del giallo/horror argentiano. Ambientato a Torino – città prediletta dal maestro del brivido – ai nostri giorni, ha come protagonista Michael Tobias (Fabio Rossini) uno scrittore esperto del cinema di Argento, al quale ha dedicato vari saggi: alla vigilia di Ferragosto, la città è sconvolta da una serie di omicidi che riprendono modalità e luoghi dei film, motivo per cui la polizia lo convoca prima come possibile colpevole e poi come consulente. Tobias decide così di aiutare l’ispettrice Gianna Nicolodi (Camilla Nigro) nella ricerca dell’assassino. Il citazionismo di Onirica è molteplice: nell’estetica (inquadrature in soggettiva, luci primarie rosse e blu), nella messa in scena (guanti neri, lame, tecnica degli omicidi) ma anche nella storia narrata, poiché il cinema di Dario Argento è il vero protagonista, e si respira praticamente in ogni scena.

Più che un film ispirato al cinema di Argento, Onirica è un film sul suo stesso cinema, un atto d’amore più di pancia che di razionalità, a discapito della sceneggiatura: si parlava di meta-cinema poiché la storia, in sostanza, è poco più di un pretesto per instaurare un gioco che coinvolge tanto i protagonisti quanto lo spettatore. Chi guarda il film è invitato a trovare le numerosissime citazioni argentiane, così come i protagonisti sono sfidati dall’assassino a individuare i film a cui sono ispirati gli omicidi. Vediamo così il delitto iniziale che riprende la morte di Clara Calamai in Profondo rosso, poi un uomo trafitto in testa da pezzi di vetro, in modo da ricostruire la forma dell’uccello dalle piume di cristallo, una vittima la cui faccia è stata divorata dagli insetti (Phenomena), il bagno in piscina (Suspiria), l’utilizzo di alcune location di Argento, con tanto di scritte in sovraimpressione (la Piazza C.L.N., reiterata varie volte, e la Villa Scott, entrambe da Profondo rosso), e tanto altro ancora. Anche i nomi sono tutti citazioni argentiane, spesso ottenuti mescolando il nome dell’attore originario con quello del suo personaggio (basti vedere i due protagonisti). Detto così, ci sarebbe il potenziale per un ottimo film, una vera gioia per gli appassionati del genere: purtroppo non è così, Onirica è sostanzialmente un’occasione persa.

Se dal punto di vista estetico è discretamente elegante – le suggestive inquadrature di Torino, l’uso delle luci primarie – e anche la coreografia degli omicidi ha un certo effetto, la narrazione mette però troppa carne al fuoco e non riesce a cucinarla a dovere: tanti sono i punti lasciati all’oscuro, oppure accennati e poi persi per strada (l’immancabile trauma infantile del protagonista, i suoi incubi, l’errore commesso dall’assassino, il falso colpevole). Lo stesso citazionismo è talmente esasperato da risultare ridonante, stucchevole, persino fastidioso in certi momenti (il bambolotto di Profondo rosso, la frase di Suspiria sui nomi che iniziano con la S). E poi c’è l’annoso problema del cinema indie italiano, cioè le interpretazioni: a causa anche di un doppiaggio mediocre, le performance degli attori risultano poco credibili, così come i dialoghi, e il tutto finisce per diventare grottesco – talvolta sembra persino di vedere una parodia del giallo. Anche la musica, che dovrebbe avere un ruolo primario, non riesce a incidere. Onirica è viziato da un’aura amatoriale – un “vorrei ma non posso” – che tante volte troviamo negli indie italiani; il regista paga probabilmente lo scotto di essere al suo primo lungometraggio: alcune potenzialità ci sono, diamogli tempo.