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Occhiali neri

2022
REGIA:
Dario Argento
CAST:
Ilenia Pastorelli: Diana Xinyu Zhang: Chin Asia Argento: Rita

Il nostro giudizio

Occhiali neri è un film del 2022, diretto da Dario Argento.

“Selvaggio” è l’aggettivo che Argento spende più spesso, nelle interviste-promo, a proposito di Occhiali neri. E “selvaggio” il film effettivamente lo è, nel significato molto concreto, “fisico”, per cui l’intera seconda parte si inserisce tra i boschi, nella “selva aspra” dei dintorni di Formello, dove Argento sublima questa idea di campagna cupa e nemica in scene a dir poco sorprendenti, di fronte alle quali il cinefilo “colto” può persino correre il rischio di sentirsi piombato dentro un remake del vecchio Frogs di McCowan, con dei micidiali serpenti acquatici che impazzano avvitacchiandosi ai corpi e ai colli di Ilenia Pastorelli e di Andrea Zhang, il suo piccolo Caronte cinese, che è il suo occhio, la sua ancora nel mondo dei vedenti. Dario riconferma qui che a partire dai due film che fece in America, al netto dei suoi sommovimenti interiori, del vulcano mentale che erutta lava sanguinaria, il suo stile è mutato, si è “concretizzato” e adesso va verso la materia senza più idealismi onirici, senza più voli pindarici. Basta quello che c’è nel mondo – si potrebbe concludere, cercando di compiere l’impresa impossibile di entrargli nel cervello – per fare paura. Anche se la primissima scena, quella in cui la Pastorelli, con quella macchia rossa, sgargiante, di vestito addosso, avanza lentamente e ieraticamente in mezzo alla gente per guardare l’eclisse, è ancora uno stigma dell’Argento che fu e che è, per tutto il suo fandom. Occhiali neri ha dietro una storia lunga e complessa, che un giorno, quando scriveremo un libro su Dario, sarà necessario riesumare. Una storia di vent’anni fa, in cui, già allora, il buio solare preludeva al buio della retina della protagonista, una puttana che a causa di un incidente d’auto, perdeva la vista. E si ritrovava a combattere per la vita contro un killer seriale che, nelle motivazioni di allora, ammazzava per invidia della felicità altrui.

Nelle varie stratificazioni che il copione conobbe, ci fu di mezzo anche uno strumento musicale, le cui corde diventavano ordigni di morte, strangolanti e squartanti. E la Polizia sperava: “Quando avrà terminato quelle corde, termineranno gli assassinii”. Franco Ferrini ci chiarifica la svolta assunta nell’ultimo draft, sui moventi dell’omicida, raccontando che Dario restò folgorato nel passato recente da un fatto di cronaca avvenuto nel bresciano, per cui un uomo si trasformò in una macchina di morte a causa del rifiuto di una escort ad accompagnarsi con lui. La ammazzò, ci prese gusto e andò avanti. Gli assassini di Dario, e anche questo è rilevante, hanno cessato di essere mani e dettagli fantasmatici, puzzle di presenze arcane. La concretezza come attuale traguardo del regista, è rivelata anche da questo. Un vecchio discorso che a partire da Opera si era impostato e che man mano è andato sviluppandosi e che ha in Occhiali neri un punto di arrivo. Un’inedita posizione raggiunta. Ribadendo quel che abbiamo sempre saputo, che Dario è assolutamente indipendente e libero, non si guarda dietro, non si guarda attorno, non fa il paraculo, non cerca di essere piacione. Fa quello che vuole e fa, probabilmente, quello che deve.

Conoscendo il fandom argentiano, si può stare certi che la scena che più farà parlare di sé, in Occhiali neri, è quella “del cane”, anzi “della cagna”, che esprime benissimo il rapporto di Dario con il proprio glorioso passato. Una citazione palmare, esibita, ostentata, che a 46 anni dal film matrice, diventa un pensiero nuovo che si fa nuova carne (e non certo nel senso delle fumisterie cronemberghiane). Sono quei brandelli sfilacciati, masticati, lappati dalle zanne della bestia, ai quali in Suspiria bastavano 15 secondi per essere evocati, e che ora diventano il centro delle cose. Perché adesso siamo nella materia, dentro la materia. La “sensualità dell’omicidio e della morte” non ha più senso, posto che mai lo abbia avuto. L’assassinio ha smesso di essere una delle belle arti, ma va più in là di quanto mai Argento abbia fatto nella gamma della cruenza (e oltre all’epilogo, qui va citata la intro, con il primo ammazzamento, tutto frontale, di lunghezza spasmodica e santificato da una fontana di sangue). Posizionare Occhiali neri, ciò detto, su un qualunque scenario attuale, è impossibile. È un film di Dario Argento. Tanto ci deve bastare. E tanto ci basta.