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Number One

1973
Titolo Originale:
Number One
REGIA:
Gianni Buffardi
CAST:
Chris Avram
Massimo Serato
Paolo Malco

Il nostro giudizio

Inevitabile parlare di Number One, il film di Gianni Buffardi, che a dicembre Canale 34 ha programmato, estrapolandolo da decenni di totale oblio. Non si era mai visto, non si sapeva di cosa si trattasse, che ci fosse ciascuno lo diceva, cosa fosse nessuno lo sapeva, al pari dell’Arba Fenice. Ecco qua, quindi. Bella cagata, se mi consentite il francesismo della sintesi. Buffardi, quelli della mia generazione (1964) se lo ricordano, magari, per essere finito sulle prime pagine dei giornali quando morì a causa della leptospirosi, il vibrione dei ratti, dopo un bagno nel biondo Tevere. Poveraccio. Produttore, marito della figlia di Totò, nel 1972/73 si gettò in questa avventura registica sull’onda lunga dello scandalo del Number One, il locale notturno romano intorno al quale, nel 1971, era scoppiato un merdaio innescato dal playboy & produttore Pier Luigi Torri, cliente assiduo del posto (sulla carta, un ristorante vegetariano, pensa te, di proprietà di Paolo Vassallo, pure lui femminaro celebrato), allorché nel cesso del night trovarono una bustina di coca. Torri cominciò a cantare, a dire che là dentro la droga scorreva a fiumi. Indagini a seguire e sfilate di avventori illustri davanti ai magistrati. Pure Nadia Cassini, il più bel culo del mondo, fu della partita. Ma da quello scandalo si dipanarono rivoli fognari impensabili: il suicidio di Bino Cicogna in Brasile, tanto per dire, una strana morte nel corso di un safari, la moglie di Paul Getty jr, Talitha Pol, crepata per overdose, anche se dissero che erano stati i sonniferi i responsabili; nonché un doppio delitto, consumato a revolverate sulle sponde del lago di Martignano, a danno di Giuliano Carabei (ex proprietario di night, tanto per cambiare) e della fotomodella inglese, negra, Tiffany Hoyveld. Un bel merdaio, ripeto. Nel quale venne coinvolto lo stesso Buffardi, accusato da due detenuti, pare su imbeccata di Torri, di essere parte dello spaccio di stupefacenti.

Quindi, Number One film fu messo in opera come una specie di “verità secondo Buffardi”. Confesso di averlo rivisto, con enorme fatica, due volte, pur nella versione super monca, stile macelleria messicana, trasmessa da Canale 34, e di non averci capito un beneamato cazzo, quanto a tesi finale. Gomarasca mi dice che al Torino Film Festival ha visto un cut meno massacrato ma ugualmente limaccioso, impervio, illeggibile, in cui l’unica cosa rilevante sono stati i salti mortali concettuali del responsabile della Scuola nazionale di cinema per giustificare le ragioni del perché si fosse deciso di restaurare una puttanata del genere. In un Paese nel quale nessuno si mette in testa che andrebbe cercato e recuperato (tanto per dire) Maldoror, si spendono quattrini, tanti o pochi che siano, per rendere di pubblico dominio ed esporre al ludibrio pubblico roba simile. Chapeau! Comunque… Number One non ha niente ma proprio niente a che fare, come scrivono i cretini e gli incolti, con il poliziottesco coevo o con il noir, alla faccia di chi, recensendolo, si è sentito autorizzato a scomodare il nume di Di Leo e di Milano calibro 9 (Sentieri Selvaggi). Girato, senza esagerazione, col culo, anzi proprio da un cieco, con gente come il fascio Bruno Di Luia piazzata in ruoli chiave, l’amante-protegé di Perrone con i capelli da Big Jim, Paolo Malco biondo e in istato stuporoso, Claude Jade doppiata in italo-francese da cartone animato, Massimo Serato che fa Massimo Serato, come al solito, e quel cagnaccio di Chris Avram in una parte che è, virtualmente, da protagonista. Nel night, alla fine, c’è pure la Giorgi che agisce da figurante.

L’unico interesse dell’operazione potevano essere i momenti hot, tipo lo sperma sulle tette di Rita Calderoni, quando se la cavalcano a più riprese Howard Ross e compagnia cantanti pasoliniana, che a Torino hanno visto ma che sul teleschermo è scomparso; o il pelo di Josiane Tanzilli (accreditata Josiane Mariet), la Volpina di Amarcord, la quale è chiamata a crepare di overdose, con bava alla bocca e occhio vitreo, in quanto succedanea cinematografica della citata Talitha Pol. Perlomeno sono rimaste le tette di Isabelle De Valvert, protagonista insieme a Guido Mannari della sequenza migliore, allorché entrambi vengono seccati a rallentatore, in piena luce, con dirompenti colpi in arrivo, nei panni della Hoyfeld e di Carabei. La morale finale è che tutti sono collusi con tutti: politici, alte sfere, bassa manovalanza criminale, trafficoni e traffichini. Che a dirla in maniera più semplice, significa che buttare tutto in caciara e sollevare polvere e creare nebbia, intorno alle cose, va sempre bene. Spiace che Pistilli sia finito qui in mezzo, come Comandante dei Carabinieri. E a proposito di Montagnani poliziotto – altro cane memorabile: diciamolo una buona volta – che ogni tanto si ipnotizza sulle tette di qualcuna, il tacere è meglio. Parce sepulto. NB: Povero Tatti Sanguinetti che nelle note al film è riuscito a parlare di Tarantino: dicesi “arrampicata sugli specchi”. NBbis: certe cose, lasciatele a noi addetti ai lavori: sutor ne ultra crepidam, ovvero: il ciabattino non deve giudicare al di sopra della suola delle scarpe.