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Non aprite quella porta

2022
Titolo Originale:
Texas Chainsaw Massacre
REGIA:
David Blue Garcia
CAST:
Sarah Yarkin (Melody)
Elsie Fisher (Lila)
Mark Burnham (Leatherface)

Il nostro giudizio

Non aprite quella porta è un film del 2022, diretto da David Blue Garcia.

 La sega come modus operandi. E non sto parlando di una a motore, ma proprio della pratica masturbatoria. Individualista, estemporanea, piacevole sul momento e non oltre. È un po’ così che si consuma questa nuova ondata delle icone horror, con risultati alterni. Con Halloween, David Gordon Green ha voluto restituire il vero Michael Myers, quello carpenteriano, dopo il tradimento operato dai tanti sequel e dalla rilettura (per il sottoscritto, affascinante) di Rob Zombie. L’ennesima operazione è stata partorita da Fede Alvarez: ripartire dalla pietra miliare e dai personaggi originari per produrre un degno seguito, distante cronologicamente nella finzione come nella realtà, e quindi omaggiare così il passato. Vuoi perché i mostri del tempo che fu sono gli stessi del presente (metafora volente essere socio-politica e che crede di spiegarci chissà cosa), fatto sta che, tra effetto nostalgia e facile sintassi del già visto, la sega prima o poi ci scappa. Peccato che sia sempre, noiosamente, uguale alla precedente.

 Non aprite quella porta di Tobe Hooper, prima ancora di voler essere un film politico, era un horror che aveva come obiettivo quello di mostrare qualcosa di stupefacente nella sua crudeltà e nella sua durezza. Niente vietava, fatto salvo l’omaggio al maestro, che anche questo sequel reboot diretto da David Blue Garcia si concentrasse sullo stesso fine. Il soggetto per farlo, tutto sommato, c’era: tornare nei luoghi del massacro quasi cinquant’anni dopo, aggiornando qua e là dove serve. Una nuova modernità, fatta di auto di lusso col pilota automatico e dunque di capitalismo ancora più sfrenato, entra nel selvaggio Texas della cittadina, ormai fantasma, di Harlow. Per la precisione, un gruppo di amici giunti dalla città per visitare gli edifici che hanno da poco comprato per creare nuove attività commerciali, anche se qualche indigeno del luogo vive ancora lì e non vuole affatto sloggiare. Un buono spunto, così come lo è l’idea che sta dietro al ritorno dell’uomo con la motosega e, perché no, anche della final girl, pur con evidente ed inevitabile deja-vu di Jamie Lee Curtis nel nuovo Halloween. Peccato che dalla base non emergano pressoché mai delle fondamenta. Anzitutto, per la voglia di essere “impegnati” a tutti i costi, tanto da dover spendere righe di sceneggiatura per spiegare allo spettatore la presenza del razzismo nel profondo Sud. A cotanta esibizione, poi, non segue il minimo sforzo per emergere dalla superficialità dei personaggi e della loro storia.

Ad un certo punto la maschera deve essere indossata e la motosega deve ricominciare a ronzare e a dilaniare: chi si è visto, si è visto. La mattanza toglie quindi definitivamente tutti dall’imbarazzo di dover raccontare qualcosa. Ci sono, in effetti, momenti di puro intrattenimento: la parte action è grandguinolesca al punto giusto, con l’acme rappresentato dalla scena all’interno del bus, dove un gruppo di ricchi coglioni, con lo smartphone sempre in mano, viene piallato senza fronzoli dal nostro eroe. Sì perché, in un modo eufemisticamente malsano, tu tifi per Leatherface in quello che vuole essere un sequel diretto del capolavoro di Hooper. L’orrore, difatti, non esiste: l’unica traccia, involontaria, è nel trattamento riservato al personaggio di Sally Hardesty, piatto quanto la famosa lama rotante. La nuova carne da macello, infine, non si sposta minimamente dall’avere solo quella funzione. Non è che, forse, a forza di fare omaggi, ci si è scordati cosa si dovesse omaggiare?