Featured Image

Noi siamo la marea

2016
Titolo Originale:
Wir sind die flut
REGIA:
Sebastian Hilger
CAST:
Max Mauff (Micha)
Lana Cooper (Jana)
Gro Swantje Kohlhof (Hanna)

Il nostro giudizio

Noi siamo la marea è un film del 2016, diretto da Sebastian Hilger

Se c’è un aggettivo primario per descrivere Noi siamo la marea di Sebastian Hilger, esso è “alieno”, nella concezione originale del termine, cioè “altro”, non catalogabile secondo i parametri comuni. Mystery? Sci-fi? Horror? Dramma psicologico? Wir sind die flut (il titolo originale) è tutto questo insieme e al contempo niente di tutto ciò, almeno non per come intendiamo solitamente i summenzionati generi. La storia immagina un inquietante mistero avvenuto nella cittadina tedesca di Windholm, quando nel 1994, all’improvviso, il mare si è ritirato e tutti i bambini del luogo sono scomparsi. Ai nostri giorni, Micha (Max Mauff), uno studente universitario di Berlino, sta preparando una tesi di ricerca proprio su questo fenomeno: nonostante il parere contrario dei docenti, decide comunque di recarsi sul posto per scoprire quanto è successo, insieme a Jana (Lana Cooper), una studentessa figlia del suo tutor con la quale ha una relazione tormentata. Giunti a Windholm sono però accolti da un’atmosfera ostile, e durante le indagini saranno costretti a infrangere il loro scetticismo scientifico per confrontarsi con qualcosa che va al di là di ogni logica. Solo la misteriosa Hanna (Gro Swantje Kohlhof) sembra poterli aiutare. Sebastian Hilger è una figura poco conosciuta da noi, ma abbastanza attivo nel cinema indipendente tedesco – a testimonianza, fra parentesi, di come il cinema indi sia un fenomeno meritevole di interesse in tutto il mondo: oltre a vari corti, Noi siamo la marea è il secondo lungometraggio di Hilger dopo Ayuda.

Ci sono una serie di fattori a rendere così particolare il film : l’ambientazione nordica e “fredda” (anche dal punto di vista fotografico), una sceneggiatura complessa che lascia volutamente spiazzati, ma pure la presenza di volti anch’essi “alieni” – cioè volti che non siamo abituati a vedere, dal longilineo e penetrante Mauff alle bionde ed efebiche Cooper e Swantje Kohlhof. È come se noi stessi da spettatori fossimo trasportati in un universo filmico (visivo e narrativo) che non conosciamo, così come i protagonisti sono coinvolti in una storia che non riescono a comprendere in pieno. E neanche noi, del resto: Noi siamo la marea è più un film di pancia che di testa, più di sensazioni che di comprensione, un film poetico che non va tanto capito quanto vissuto, che parte del mistero ancestrale delle maree per creare un discorso psico-filosofico e una fusione panica fra l’uomo e la natura. Sgombriamo il campo da equivoci: nonostante il tema della scomparsa dei bambini sia un topos del cinema horror, siamo distanti anni luce dai modelli in stile Sinister; siamo più dalle parti vontrieriane di The Kingdom (ma senza la componente ironica), o di quel gioiello che è Lasciami entrare di Tomas Alfredson – evidentemente, nei Paesi nordici è frequente questa componente mistery-esistenziale – anche se il film di Hilger è davvero un unicum che non ammette paragoni. Non aspettiamoci, quindi, di trovare una vera e propria risposta ai misteri – o meglio, una risposta c’è, legata alla morte di un bambino, ma è lasciata volutamente nel vago e all’interpretazione dello spettatore, e tutto il film è aperto a varie chiavi di lettura. Più che inquietante, il clima che si respira è profondamente triste: dalla disperazione dei genitori, alla comparsa del bambino fantasma sulla battigia, fino alle luci lontane che Hanna identifica come la presenza dei bambini (e il termine “luci lontane” non è casuale, visto che il film ha richiamato alla mente di chi scrive l’omonimo film italiano di Aurelio Chiesa).

2

Non mancano alcune componenti tipiche del cinema del brivido, come l’accoglienza ostile degli abitanti che invitano i visitatori ad andarsene, la spiegazione (si fa per dire) affidata alla triste e inquietante voce del bambino registrata su un nastro, le apparizioni di questi singolari fantasmi, ma anche il tema “cospirativo” con i militari impegnati in una sorta di “congiura del silenzio”. Scienza e metafisica, ragione e soprannaturale, oscillano continuamente nel corso della storia, che vedrà poi prevalere le seconde (il potere di fermare il tempo, la presunta reincarnazione del protagonista, il mistero che si ripete). Il percorso intrapreso da Micha e Jana è anche un viaggio iniziatico ed esistenziale nella loro vita: il mistero e il dolore in cui sono coinvolti è leggibile come il riflesso della loro tribolata esistenza – una storia d’amore interrotta, un probabile aborto a cui si accenna – mentre il personaggio di Hanna è una sorta di “traghettatore” fra il nostro mondo e il mondo “altro” verso cui si avvia Micha. Tecnicamente ineccepibile, con un uso accorto del montaggio e inquadrature raffinate (comprese alcune in steady-cam), Noi siamo la marea può vantare una fotografia gelida, autunnale e malinconica come la storia e i paesaggi: maestosa, in particolare, la distesa di sabbia un tempo occupata dal mare, che ben si presta a scene visivamente potenti come la camminata di Micha e Jana vestiti da astronauti, la lugubre distesa di croci e i bambini-fantasma all’orizzonte. Molto curata anche la colonna sonora, formata soprattutto da insistenti archi che formano una perfetta sinestesia con le immagini.