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Nanny

2022
REGIA:
Nikyatu Jusu
CAST:
Anna Diop (Aisha)
Michelle Monaghan (Amy)
Sinqua Walls (Malik)

Il nostro giudizio

Nanny è un film del 2022 diretto da Nikyatu Jusu.

Aisha (Anna Diop), un’immigrata senegalese, trova lavoro come tata di una coppia di ricchi di Manhattan, Amy (Michelle Monaghan) presissima dalla sua carriera e Adam (Morgan Spector), un fotografo poco incline alla vita famigliare. Il suo sogno è portare a New York il figlioletto Lamine. Mentre Aisha conquista sempre di più l’affetto della piccola e viziata Rose, attraverso i segnali di presenze soprannaturali e presagi, è sempre più preoccupata per la sorte del figlio in Senegal, schiacciata dall’American Dream e da una quotidianità sempre più ostile. A Nikyatu Jusu, regista di questo Nanny, sua opera prima, acclamata al Sundance con il Grand Jury Prize e appena sbarcata nel catalogo di Prime Video, i film di Jordan Peele devono essere piaciuti parecchio, a partire dalla scelta della bravissima Anna Diop (già vista in Us), e dalla produzione targata Blumhouse, tutto sembra andare dalle parti del regista statunitense. Già, perché in Nanny, l’horror come nel cinema di Peele, è un pretesto per raccontare molto altro.

Non solo la realtà così come la viviamo noi, ma la triste realtà degli immigrati e delle donne soprattutto. Nel cinema di Jusu, si respira la disparità tra uomini e donne, neri e bianchi, e quel sogno americano tanto ambito – ormai fumo negli occhi – si tramuta pian piano in un incubo a occhi aperti. In Nanny, il vero orrore non sono le presenze e le ombre di ragni sulla pareti, né tanto meno serpenti, spiriti e oniriche creature acquatiche della cultura popolare africana, l’orrore vero si nasconde dietro il viso – apparentemente – pulito di una coppia di ricchi a New York; dietro le mura domestiche, nel passato e nei sogni di chi non ha nulla e deve conquistare con le unghie e i denti il proprio futuro. “Preferisco essere schiava in America che in Africa. Qui almeno quando lavori i soldi li vedi,” dice l’amica parrucchiera di Aisha, rispondendole se un giorno farà mai ritorno al suo Paese. Ma la realtà negli Stati Uniti, è anche confrontarsi con la mentalità bigotta e ottusa dei “bianchi”, con lo stipendio che tarda ad arrivare, e pone riflessioni terse su cosa vuol dire essere madre oggi nell’era digitalizzata e iperconnessa. Cosa accade dentro di noi quando le cose non vanno come devono andare e ci si trova soli in un ruolo che qualcuno ci ha cucito addosso? Nanny mostra senza mostrare, svela senza rivelare troppo, forse prendendoci anche un po’ in giro, e questo probabilmente non piacerà a chi cerca jumpscare e spaventi. Ma questo tipo di cinema è così, prendere o lasciare.

Nanny è fedele al cinema indipendente che ha innovato e continua a innovare il genere, portandolo su livelli differenti, se non del tutto nuovi nelle tematiche (Romero ci aveva suggerito qualcosa nel lontano 1968) almeno visivamente originali. Quello di Nikyatu Jusu è un film politico, cosciente e proud di esserlo, un cinema che ha assimilato quel tanto urlato Black Lives Matter, e che nei novantasette minuti di Nanny ci porta a vivere in prima persona cosa vuol dire essere neri oggi nella società americana (e non solo). Lavora, produci, riproduciti e muori. La realtà di Aisha, come il cinema della Jusu, appare sospeso tra il bisogno di raccontare la nostra realtà e quella di evaderla. Nikyatu Jusu ci riesce e racconta il bisogno indicibile di urlare, un urlo che esplode in un finale forse un po’ forzato, ma inevitabile. Un cerchio che si apre con la vita e si chiude con la morte. A volte con tutt’e due le cose insieme, contemporaneamente.