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Nandor Fodor and the Talking Mongoose

2023
REGIA:
Adam Sigal
CAST:
Simon Pegg (Nandor Fodor)
Minnie Driver (Anne)
Christopher Lloyd (Harry Price)

Il nostro giudizio

Nandor Fodor and the Talking Mongoose è un film del 2023, diretto da Adam Sigal.

Ogni volta che ci s’imbatte nella fatidica dicitura “Tratto da una storia vera”, sarebbe sempre bene domandarsi quanto effettivamente di vero ci sia alla base di suddetta storiella. Si perché, se tutto parte da alcuni rubicondi paesanotti inglesi e dai loro folli racconti circa una fantomatica mangusta parlante, beh, un certo sentore di supercazzola non può che iniziare a diffondersi nell’aria. Eppure, strano a dirsi, pare che stavolta qualcosa di vero ci sia. O meglio, ci sia stato; almeno dando retta alla ruspante stampa scandalistica britannica, per la quale la cronaca degli incredibili eventi accaduti nel piccolo borgo marittimo di Dalby all’inizio degli anni ’30 del Novecento ha finito per valicare i confini stessi della leggenda, divenendo uno dei più curiosi e controversi casi mediatici della piovosa terra di Sua Maestà. Ed è proprio a partire da questi strambi fattacci, per i quali la consueta sospensione dell’incredulità da sola certo non basta, che il frizzante Adam Sigal ha scelto di attingere per dar forma al suo irriverente Nandor Fodor and the Talking Mongoose: una graffiante e impudentissima satira rivolta a una società di ieri che, così come quella di oggi, per paura o semplice tornaconto preferisce dar credito non ai dati di fatto quanto piuttosto alla subdola e pericolosissima filosofia del “perché si”.

Un titolo d’effetto, non c’è che dire; già di per sé adatto a una sensazionalistica prima pagina e che, così come nella migliore tradizione wertmülleriana, contiene già in nuce i suoi due principali protagonisti. In primis, infatti, abbiamo l’altezzoso Professor Nandor Fodor (Simon Pegg), eminente parapsicologo dall’indole insolitamente scettica che, dopo aver ricevuto una solleticante letterina da un certo Mr. Irving (Tim Downie) residente nella sperduta isoletta di Man, sotto spassionato consiglio del collega Harry Price (Christopher Lloyd) decide di recarsi in loco, assieme alla fida assistente Annie (Minnie Driver), per far luce sullo strambo oggetto – anzi, sulla creatura – di questa altrettanto bislacca contesa. Qui entra in gioco la seconda pelosa, zampettante e improbabile variabile di questa folle equazione: quella fantomatica mangusta chiacchierona da tutti conosciuta come Gef che, almeno stando alle rivelazioni dei simpatici isolani, sarebbe divenuta la vera mascotte del marittimo circondario. Per il nostro spocchioso Professore e il suo risicatissimo entourage inizierà dunque un surreale e avventuroso viaggio alla ricerca, oltre che della schiacciante e definitiva prova provata, anche e sopratutto  di quella benamata verità che, come spesso accade quando di mezzo ci si mette la fede, più che nei fatti sta tutta nel cuore di chi vuol vedere e sentire.

Non è dunque strano prendere atto di come, al netto di un’affascinante atmosfera da teatro dell’assurdo, Nandor Fodor and the Talking Mongoose sia innanzitutto un racconto di fede e sulla fede; su cosa voglia dire credere in qualcosa non perché lo si è visto, sentito o toccato ma piuttosto perché si ha voglia che quel qualcosa esista punto e basta. E non è affatto strano che alla ricerca di questa fede venga messo proprio colui che, nonostante per lavoro si trovi spesso a tentare di spiegare l’inspiegabile e a sondare l’insondabile, proprio la pura e semplice fede sembra aver ormai perduto. Ma d’altronde si sa: al cospetto di un presunto roditore parlante – costretto a rimanere fuori campo per un’intera ora e mezza, affidandosi alla sola voice-off di uno spassosissimo Neil Gaiman – anche il più accanito credulone non potrebbe che veder sbolliti i propri proverbiali spiriti. Un po’ come la regia del nostro Sigal che, dopo il labirintico (e a dirla tutta parecchio confusionario) exploit fantascientifico di Chariot, sceglie stavolta un’eccessiva morbidezza che mal si sposa con le solleticanti potenzialità offerte dall’ottima sceneggiatura da lui stesso abbozzata; mancando di quella stessa dose di coraggio che avrebbe permesso al suo  intimamente insicuro protagonista  di abbandonare per una volta la sua ostinata reticenza e di accettare i disinteressati consigli di un nuovo invisibile e pelliccioso amico.